Parla la referente per l'integrazione dei minori rom del provveditorato agli studi, che è stata accanto alle famiglie nelle fasi precedenti e successive allo smantellamento dell'insediamento della Favorita. Dai pregiudizi alla solidarietà, fino alla lotta alla dispersione scolastica. Ecco cosa è successo da aprile ad oggi
Dismissione campo rom, il punto: sette famiglie ancora negli istituti «Un’esperienza di grande civiltà, ho fiducia nelle nuove generazioni»
«Ciao a tutti, sarete sempre nei nostri pensieri e non vi scorderemo mai. Speriamo che un giorno la nostra vita sia migliore e che vi potremo ricompensare per tutto quello che avete fatto per noi. Vi vogliamo un mondo di bene». Queste sono alcune parole di una lettera dei bimbi di una delle famiglie che fino a pochi mesi fa abitavano il campo. Adesso vivono in Francia, meta scelta anche da altre due nuclei familiari, ma non dimenticano chi ha dato corpo alle loro speranze, sostenendoli nei momenti difficili. Poche righe, cariche di significato e affetto, inviate anche a Carla Mazzola, docente referente del Provveditorato agli studi per i minori rom, presente in tutte le fasi di dismissione del campo, avvenuta i primi giorni dello scorso aprile. «È stata una cosa che ci ha commosso. Molte famiglie erano partite nel corso degli anni per le condizioni precarie di quel luogo, a causa della presenza di amianto, topi, cani randagi e baracche che volavano per un soffio di vento – spiega Mazzola – che sono state oggetto di numerose segnalazioni da parte nostra. Le mete preferite sono sempre state Francia e Germania». Quando ha iniziato a lavorare con le famiglie del campo, nel 2006, lo scenario era molto complesso. Negli anni, grazie ad attività che hanno coinvolto genitori e alunni di famiglie rom e non, si è raggiunta una progressiva integrazione favorita dalla scuola.
LA DISMISSIONE PRIMA E DOPO. Momenti necessari ma complessi hanno preceduto e seguito la dismissione del campo rom di via del Fante, alla Favorita. Il progetto di mettere fine all’esperienza più che ventennale di emarginazione e stenti, in un luogo non adeguato alla permanenza di queste persone, era nei piani dell’amministrazione comunale da tempo. Il processo di smantellamento ha subito una brusca accelerazione il 28 luglio dell’anno scorso, con il decreto di sequestro preventivo disposto dal Tribunale di Palermo. Da lì parte il provvedimento urgente contenuto nell’ordinanza sindacale, la 183 del 28 luglio 2018, che prevede di chiudere il campo entro dicembre di quello stesso anno e il graduale accompagnamento all’autonomia e alla fuoriuscita dei nuclei familiari, anche attraverso la loro sistemazione in strutture per l’accoglienza temporanea. Sappiamo però che alla fine del 2018 solo quattro nuclei familiari avevano lasciato il campo mentre le altre si sono trasferite, sempre all’interno di percorsi condivisi e sostenuti dall’amministrazione, definitivamente il 5 aprile scorso.
Man mano che negli anni le famiglie andavano via, negli anni, la politica è stata quella di abbattere le baracche, in modo che non potessero essere rioccupate. Al momento della dismissione, delle 110 persone che abitavano il campo a luglio 2018, ne erano rimaste circa la metà. Oggi di quelle 54 persone, di cui 24 minori, sono almeno sette le famiglie che devono avere ancora una sistemazione definitiva. Per loro il Comune ha scelto la strada più difficile, quella dell’inclusione. Per tutti sono stati elaborati progetti personalizzati per accompagnarli verso l’autonomia, sia lavorativa che abitativa. Dalla dismissione, altre due famiglie sono state avviate verso progetti di housing first, mentre i sette nuclei da sistemare vivono ancora in vari istituti cittadini. Una realtà accogliente, quella palermitana, ma i pregiudizi sono cosa dura da scardinare: «I Rom a Palermo sono soprattutto provenienti dalla ex Jugoslavia, dal Kosovo o dalla Serbia – aggiunge Mazzola – Non erano nomadi, ma persone abituate a vivere in un villaggio. Infatti, tra chi è andato via di sua volontà e chi, assegnatario di un alloggio, si è trasferito in una casa, alla fine, al momento della dismissione, erano poche le famiglie rimaste. Per quanto riguarda la frequenza scolastica è stata garantita continuità, grazie alla collaborazione tra l’assessore Mattina, la scuola e la psicologa del Comune Laura Nocilla». La docente ha seguito tutte le fasi della dismissione e si trovava là il giorno in cui tutte le famiglie hanno lasciato il campo: «Ho partecipato alla preghiera nella moschea, e sono rimasta lì tutta la giornata. È stata una delle esperienze più forti e di grande civiltà a cui ho assistito, sia da parte delle forze dell’ordine che dei rom. La mattina i bimbi sono andati a scuola e nel campo non è entrato nessuno. Non c’è stato uno sgombero selvaggio, ogni famiglia, come nel progetto del Comune, aveva la sua destinazione. Quando tutti sono andati via, poi sono arrivate le ruspe». La voce della docente cambia tono quando ricorda i momenti in cui le persone che conosceva nella vita quotidiana ormai da anni, raccoglievano i loro averi. Poche cose in sé, ma tanti pezzi di vita vissuta lì che restavano dentro quelle baracche: «i loro divani, i loro tappeti. Non è stato bello. ma li abbiamo incoraggiati: “niente da oggi in poi sarà peggio del campo e noi non vi lasceremo soli”, dicevo».
CONTINUA LA SCUOLA, RETE DI SOLIDARIETÀ– All’ufficio scolastico c’è un gruppo di lavoro formato, tra gli altri, da docenti, dalla referente, e dall’ex dirigente della scuola Alcide De Gasperi, finalizzato a fare il punto sul livello dell’integrazione scolastica dei ragazzi, con tutto quello che comporta. Da qui è partita una lettera indirizzata alle scuole dove sono destinati i minori individuate in base alle nuove zone in cui abitano le famiglie. Al momento in cui è stato dato il via allo smantellamento c’erano 13 minori alla scuola media, 14 alla primaria e 7 al superiore. Nella lettera «chiediamo loro di tenere conto della particolare situazione degli alunni – afferma Mazzola – L’integrazione passa dalla scuola, che non si fa carico soltanto dell’istruzione ma di tutto ciò che riguarda i loro bisogni. Ci sono dei volontari che fanno doposcuola gratuiti e laboratori. Per i primi giorni dopo la dismissione abbiamo provveduto anche al pasto, in seguito il Comune ha istituito una mensa temporanea che è stata attiva per alcuni mesi». Ma il supporto della rete di solidarietà che si è creata negli anni attorno a queste famiglie supera le pareti degli istituti scolastici: «Cerchiamo di dare supporto per qualunque necessità, anche per le visite mediche delle donne incinte. Sono andata a trovare le famiglie che vivono a Ciaculli e ho trovato una situazione che adesso è molto tranquilla. C’era anche una vicina di casa ospite da loro, la protesta è rientrata». Tra chi ha scelto di continuare gli studi e accedere alla scuola secondaria di secondo grado c’è chi ha ricevuto una della cinque borse di studio da 300 euro assegnate ormai da due anni. I percorsi più gettonati sono l’alberghiero e gli istituti professionali. «Sono contenta del percorso che abbiamo fatto e dell’esperienza palermitana di tolleranza e civiltà – sottolinea Mazzola – e mi dispiace che queste persone partano. Il lavoro e la casa sono i motivi fondamentali. I ragazzi che noi seguiamo sono già diversi dai loro genitori. La scuola ha fatto molto. Nelle nuove generazioni ho molta fiducia, hanno voglia di costruirsi un futuro».
I NODI DA RISOLVERE – I problemi principali che si trascinano ancora oggi sono legati all’accelerazione dei tempi, dettata dal sequestro, cosa che hanno dichiarato anche il sindaco Orlando e l’assessore alla Cittadinanza Solidale, Giuseppe Mattina, il giorno della dismissione. Una buona parte del tempo concesso dai magistrati è stato impiegato nella regolarizzazione delle persone che abitavano nel campo, per consentire loro di accedere ai vari progetti di autonomia abitativa e l’inserimento lavorativo. A questo scopo saranno utilizzati anche i 668mila euro dei fondi Pon metro, che verrano utilizzati anche per pagare l’affitto delle case per due anni. Fondi che, con tutta probabilità, non saranno disponibili prima di gennaio o febbraio del prossimo anno. Ma l’impegno del Comune non si ferma e si cercano soluzioni sia per chi ha già trovato casa, e adesso si confronta con spese comuni, come bollette e condominio da pagare, sia per chi non ha ancora trovato una sistemazione. Molti di loro non sono più giovanissimi o in perfetta salute e altri non hanno mai avuto un vero lavoro. Ma ci sono anche delle bravissime cuoche e in tanti hanno voglia di mettersi in gioco e trovarsi di che vivere. Un tentativo di fare emergere con posizioni regolari persone ghettizzate, che vivevano in un limbo ignorato da tutti.
RICONOSCIMENTI PER PALERMO, MODELLO POSITIVO – L’approccio scelto dal Comune di Palermo per affrontare il tema della presenza dei rom e del campo è diventato un modello positivo citato nel rapporto 2018 dell’associazione 21 Luglio, I margini del margine. Si tratta di un’organizzazione no profit che supporta i gruppi e gli individui in condizione di segregazione estrema e di discriminazione. Nel report si legge: «Dal 2012 esiste una strategia nazionale per la loro inclusione che però, a due anni dal suo termine naturale, non è riuscita a promuovere alcun significativo impatto. La sua attuazione continua, anche nel 2018, a soffrire ritardi e a contenere elementi di criticità dettati da una natura non vincolante e da una volontà politica che continua a mostrare tutta la sua debolezza. Eppure segnali di controtendenza, seppur tiepidi e frammentati, iniziano a registrarsi. Città come Moncalieri, Sesto Fiorentino e Palermo hanno iniziato a dare corpo alla parola “superamento dei campi” con azioni virtuose che meritano attenzione perché potrebbero rappresentare il vero segnale di discontinuità che da anni attendevamo».