Il cinismo degli spaccaossa e le truffe ai disperati «Sembrava una gallina quando gli stirano il collo»

«Sembrava una gallina … lo sai quando gli stirano il collo?». Rita Mazzanares fa parte della banda spaccaossa, che per anni ha truffato poveri disperati palermitani dei quartieri popolari prospettando loro lauti guadagni dal mondo delle assicurazioni in cambio di mutilazioni volontarie. Ne ha rotte tante di braccia e di gambe, e ne ha adescate tante di persone. Eppure a un certo punto sembra mostrare un briciolo di compassione nei confronti di una delle vittime («poveretta» dice a un certo punto, usando poi un paragone che però non smuove il marito, Giosuè Giglio. «Poveretto io, che sono senza soldi» risponde lui, insensibile alle urla di dolore. Anzi, a Giglio proprio non piace l’impressionabilità di sua moglie e dei suoi accoliti. 

Un estremo cinismo, quello degli associati della banda spaccaossa, che colpisce persino la squadra mobile di Palermo, «i quali privilegiano – scrivono gli inquirenti – l’avvicinamento di persone in disastroso stato economico, nonché sovente colpite da ritardi psichici o da tossicodipendenza, al fine di riuscire più facilmente a disinnescare, o quantomeno a limitare, le loro successive richieste di denaro. Ottenutone l’assenso, le vittime vengono trasportate in appartamenti e/o magazzini nella disponibilità dei malviventi, per essere affidati alle “cure” dei sodali più violenti e pericolosi, incaricati della spaventosa fase della frattura delle ossa».

La banda, dunque, mostra di saperci fare. Nel corso del tempo ha affinato le tecniche di reclutamento. Una vittima, ad esempio, racconta di essere adescata proprio da Rita per inscenare un falso incidente, «dicendomi che io me la sarei cavata con qualche contusione». Inizia dunque la contrattazione sul compenso: alla vittima viene promesso prima il 30 per cento del premio assicurativo e «in seguito alle mie proteste mi ha promesso che  avrei avuto il 50 per cento». Dopo, la vittima viene portata in una casa nei pressi di Ballarò. E siccome sono i dettagli che rendono una storia ancora più orrorifica, è sempre la stessa vittima a notare che uno dei suoi aguzzini va a comprare due sacchi di ghiaccio perché il ghiaccio spray potrebbe non bastare

«Mi hanno fatto distendere a terra e poggiare le braccia  – prosegue il racconto – su dei mattoni lanciandomi addosso dei pesi da palestra. Ricordo che mi hanno scagliato addosso un disco del tipo di quelli che si usano in palestra lanciandomelo prima su un braccio e poi su un altro». Insomma: altro che semplici contusioni, qui si tratta di vere e proprie fratture. Per questo motivo la vittima viene portata all’ospedale Buccheri La Ferla, dove rimane per 15 giorni e dove i suoi aguzzini vanno a trovarla spesso. Non solo. In ospedale, poi, la crudele beffa: la vittima incontra un altro compagno di sventure, che gli racconta delle beffa similare in cui è incappato ma che quando ha provato a pretendere i soldi dalle persone che lo avevano rotto, queste lo hanno minacciato «dicendogli che avrebbero sciolto una delle sorelle nell’acido».

Sono pieni di particolari drammatici le truffe degli spaccaossa. A partire dal cosiddetto caso del tunisino, che ha dato il via alle indagini della polizia. A far scattare le indagini una messa in scena andata a male. Forse troppo esagerata. È il 9 gennaio del 2017 quando gli agenti della polizia municipale arrivano in via Salemi, anonima strada di Brancaccio, in seguito alla segnalazione di un incidente mortale. Lì viene trovato il corpo di un extracomunitario, che più tardi viene identificato in Yacoub Hadri. Il tunisino presenta una strana frattura esposta di tibia e perone, appena coperta da una fasciatura. Il cadavere viene riesumato e con la perizia del medico legale vengono confermati i sospetti degli agenti di polizia giudiziaria: l’uomo non è morto a causa dell’incidente, a questo punto presunto, ma a seguito di un arresto cardiocircolatorio. Con il cadavere che è stata trasportato successivamente in via Salemi. «Loro hanno messo il ragazzo a terra e io sono via – dice a un certo punto Francesco Mocciaro – gli è scappato dalle mani e ha sbattuto il cervelletto a terra». Mentre di un suo collega si spinge a dire che «è un cane a lavorare, che pure se lui lo vede morto alla persona non lo lascia, lo fa a pezzi». 


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