Collaboratore di giustizia dal 2013, Gaetano Barbera è stato arrestato ieri. Nonostante si trovasse in località protetta, avrebbe ripreso le attività criminali. «È meglio che vado di sera, altrimenti mi chiudono e non me lo posso permettere», diceva
Messina, la pistola che ha portato Barbera in carcere «Io esco sempre organizzato, non è che sono scemo»
«Questa è del 1900, se la porti a valutare costa un sacco di soldi». È così che Gaetano Barbera, collaboratore di giustizia dal 2013 arrestato ieri dagli agenti della squadra mobile di Messina, parlava con un amico a proposto delle pistola che si era fatto procurare dalla sorella Maria. L’uomo, che dal 2013 aveva cominciato la sua collaborazione con la giustizia, era tenuto sotto controllo dagli stessi inquirenti ai quali negli anni ha fornito numerose e attendibili dichiarazioni.
Dalle intercettazioni ambientali e telefoniche, la squadra mobile è riuscita a scoprire che Barbera custodiva una pistola 7,65 che la sorella gli avrebbe portato in treno fino a Messina. Nonostante si trovasse in una località protetta, secondo gli inquirenti avrebbe ripreso le proprie attività criminali. In particolare, sarebbe venuto alle mani per difendere un amico al quale era stato sottratto un orologio. In quell’occasione, la caratura criminale di Barbera era venuta di nuovo a galla. Al punto che, il giorno dopo, l’accessorio era stato restituito. Sarebbe stata, comunque, la paura di possibili ritorsioni a spingerlo a procurarsi un’arma.
Barbera, parlando con la sorella Maria senza sapere di essere intercettato, racconta la scena della rissa nata dopo sguardi di sfida scambiati con altri quattro soggetti mentre si trovava insieme all’amico. Sguardi che hanno fatto scattare la reazione di uno dei quattro e che Barbera, senza pensarci due volte, avrebbe preso per il collo. «A te ti taglio la testa […] Tu che hai una macchina bianca ti vengo a trovare io, ora non mi posso fermare! Poi ti do pure le altre hai capito! Scimunito». È questa una delle minacce che Barbera avrebbe rivolto ai rivali, stando a quanto riferisce durante il suo racconto alla sorella. A intervenire per cercare di riportare la calma sarebbe stato il più anziano del gruppo.
Barbera sarebbe stato consapevole di non potersi «sputtanare» perché «altrimenti quella sera stessa non c’erano più». Parlando sempre con la sorella, il collaboratore riferisce che il giorno dopo l’orologio viene restituito all’amico che, però, avrebbe paventato ritorsioni da parte del gruppo di creditori e lo avrebbe invitato a «organizzarsi». Barbera lo tranquillizza di averlo già fatto: «Non ti preoccupare, non ne faccio minchiate. Facciamo stemperare, poi se ci dobbiamo fare pace, facciamo pace […] Perché se li capito per strada, pure che sono in due non ho problemi perché li affronto, perché non è che sono scemo, esco sempre organizzato […] Però il problema qual è – continua – che se io sto troppo in un posto a fare una rissa e sono due o tre non puoi dare due pugni te ne vai e viene la questura. A me mi chiudono e non me lo posso permettere. È meglio che vado di nascosto di sera dovunque sono, ne butto tre o quattro a terra». Durante la conversazione, inoltre, Barbera sottolinea che «tempo fa mi ero organizzato, a quest’ora l’avrei già fatto prima, di rompere una gamba, in silenzio gli prendevo l’orologio».
A confermare i sospetti degli investigatori sul fatto che Barbera fosse entrato in possesso di una pistola, oltre alle intercettazioni, ci sarebbe una verifica che l’uomo avrebbe fatto su internet all’indomani della consegna dell’arma da parte della sorella. È lo scorso 23 febbraio quando il collaboratore cerca sul web le caratteristiche di una pistola per confrontarle con quella appena ricevuta. Barbera è stato vicino ai clan di Giostra e successivamente a quello di Marcello D’Arrigo. È il responsabile degli omicidi di Stefano Marchese, La Francesco Boccetta, Sergio Micalizzi e Roberto Idotta.