Montante, la relazione della commissione d’inchiesta «L’antimafia usata per tagliare teste disobbedienti»

Quel che resta, a dieci mesi dall’avvio dell’indagine della commissione regionale antimafia sul sistema Montante e sul suo «cerchio magico», è «un’impietosa fotografia delle istituzioni siciliane», assolutamente permeabili a tutti i livelli.

Trecento giorni di indagine e studio del fenomeno, 49 audizioni in tutto e diverse «assenze» di peso. A declinare l’invito «in alcuni casi perché imputati nel processo in corso a Caltanissetta, in altri casi offrendo altre, più generiche, motivazioni», si legge nel corposo dossier presentato oggi dalla commissione guidata dal deputato Claudio Fava, sono stati l’ex presidente della Regione Rosario Crocetta, l’ex vicepresidente di Confindustria nazionale Ivan Lo Bello, gli ex assessori Marco Venturi, Linda Vancheri e Mariella Lo Bello e i magistrati (in servizio, all’epoca dei fatti, a Caltanissetta) Salvatore Cardinale, Lirio Conti, Claudio Dall’Acqua, Sergio Lari, Luigi Leghissa, Lucia Lotti, Antonio Porracciolo e Roberto Scarpinato.

«Ma emerge anche (e per fortuna) – scrive ancora la commissione – una capacità di denuncia e di resistenza morale tanto più significativa quanto più si è trovata isolata e – in taluni casi – perseguitata. Lo confermano le vicende professionali di alcuni dirigenti della Regione Siciliana, rei di disobbedienza e per questo vittime di autentiche liste di proscrizione. Lo confermano i destinatari dei dossier confezionati (o commissionati) da Montante pretendendo da alcuni funzionari dello Stato di compulsare gli archivi della banca dati Sdi (sistema di informazione interforze) per schedare avversari, antagonisti, critici o semplicemente giornalisti con la schiena dritta. Storie misere, ma non episodiche».

Il sistema Montante
Abbandonata la pista iniziale, legata all’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, per mancanza di riscontri in grado di elevare specifici addebiti nei confronti di Montante, gli sforzi della Procura e degli investigatori si concentrano su un altro versante. Diventa infatti di primaria importanza valutare l’attendibilità della svolta legalitaria promossa dall’imprenditore di Serradifalco – attualmente a processo a Caltanissetta perché accusato di avere creato una ragnatela di relazioni volte a ottenere informazioni coperte da segreto istruttorio – e le sue reali motivazioni. La commissione si è occupata dei meccanismi che hanno reso possibile «una lunga stagione di anarchia istituzionale, una deregulation perfino ostentata, una promiscuità malata fra interessi privati e privati», al punto da fare ritenere che «resta la preoccupante consapevolezza che molti sapessero e – pur senza essere parte di quel sistema – abbiano taciuto».

Secondo la commissione si sarebbero riscontrate ciclicamente «forzature delle procedure, sistematica violazione delle prassi istituzionali, asservimento della funzione pubblica al privilegio privato, umiliazione della buona fede di tanti amministratori, occupazione fisica dei luoghi di governo, persecuzione degli avversari politici, fino al vezzo di una certa antimafia agitata come una scimitarra per tagliare teste disobbedienti e adoperata come salvacondotto per se stessi attraverso un sillogismo furbo e falso: chi era contro di loro era per ciò stesso complice di Cosa nostra. Un repertorio di ribalderie spesso esibito come un trofeo: era il segno di un potere che non accettava critiche e non ammetteva limiti».

Il ruolo dell’ex senatore Lumia
Stando a quanto ricostruito dalla commissione, nella «progressiva legittimazione di Montante e nella sua crescente pervasività nelle scelte di amministrazione e di indirizzo politico della Regione, un ruolo di significativo rilievo spetta all’allora senatore Beppe Lumia. Ruolo che gli viene riconosciuto da tutti i protagonisti di quella stagione di governo da noi auditi». A cominciare dal senatore Giovanni Pistorio, che racconta alla Commissione di un «rapporto molto forte» con Lumia nel 2009, «perché scommettevamo ambedue sul governo regionale» (il governo Lombardo, che all’epoca fu sostenuto anche dal Partito democratico, ndr). E se in audizione lo stesso Raffaele Lombardo ha parlato di «ruolo soltanto politico» di Lumia in quella vicenda, secondo Gaetano Armao (già assessore all’Economia nel governo a trazione autonomista), invece, «non c’era questione che avesse una rilevanza finanziaria sulla quale l’onorevole Lumia non tentava di mettere il becco. Per fortuna il presidente Lombardo aveva la determinazione di tenerlo ogni tanto lontano da queste cose». E ancora, sul rapporto tra Lumia e Confindustria Sicilia e sulla pervasività delle ingerenze, Armao ammette che «oggettivamente si sentiva la presenza forte, pesante di questa connection tra Lumia e Confindustria nella gestione del governo Lombardo. C’era su ogni cosa: io prendevo un esterno e Lumia diceva “perché hai preso quell’esterno, quello non può stare lì, deve andarci un altro”, una continua ingerenza sull’attività amministrativa che lascia veramente attoniti».

Non a caso, la voce che circolava con assoluta insistenza durante la legislatura Crocetta era quella del «senatore della porta accanto». «Ho saputo di intrusioni – racconta ancora Armao – durante riunioni in corso da parte o del Lumia o del dottor Montante direttamente nella stanza del presidente. Mi raccontano di porte, diciamo, che si aprivano e si entrava come se ci fosse una gestione assolutamente osmotica tra il livello decisionale esterno alla giunta e il livello interno alla giunta, cioè una pervasività del rapporto che evidentemente influiva sulle decisioni… Questo raccordo tra Lo Bello, Montante, Fiumefreddo, Lumia e Crocetta era un rapporto assolutamente circolare».

E se anche Patrizia Monterosso conferma la presenza significativa di Lumia a Palazzo d’Orleans, è il governatore Nello Musumeci che offre alla commissione un ricordo netto, inserendo le frequentazioni del senatore Lumia a Palazzo d’Orleans nel contesto del cosiddetto sistema Montante. Con una chiosa significativa proprio sulla fisionomia di questo sistema: «Dico subito – sono le parole di Musumeci – che più che “sistema Montante” io lo chiamerei “sistema Lumia”. Il vero regista di quel cerchio magico, a mio avviso, era il senatore Lumia. Montante si occupava di mantenere i contatti col mondo imprenditoriale, perché il sistema era di potere ed economico. Basti pensare che in questi ultimi nove anni tutto ruota attorno alle scelte determinate da Lumia, il quale ha avuto l’abilità di assumere una posizione defilata, proprio – prosegue Musumeci nella sua audizione – per non richiamare le attenzioni sul suo ruolo che, invece, era un ruolo assolutamente di primo piano. Lumia aveva il compito dell’arruolamento. Non è un caso che nel palazzo del potere per eccellenza, nell’ultima stanza in fondo al corridoio, ci fosse il regista, il senatore Lumia».

È lì che il presidente della commissione Claudio Fava chiede a Musumeci di essere più preciso: «Occupava quella stanza. Il senatore Lumia non aveva una segreteria politica, stava nel corridoio del presidente del Regione. Questo mi dicono, io non ho mai messo piede in quel Palazzo nei cinque anni passati, ma così mi dicono. Confindustria ha governato la Sicilia dal 2009, da quando Lumia diventa il regista del cambio di maggioranza, sì, del ribaltone, con il dottore Venturi. La fine del governo Lombardo – sottolinea Musumeci – dovette rappresentare un duro colpo per l’immagine del senatore Lumia, che era stato il regista del ribaltone. Ecco perché ricorre subito alla candidatura di Crocetta. Gli fa rinunciare il posto di deputato europeo proprio perché Crocetta rappresenta l’elemento di novità. Quella operazione viene portata avanti da Lumia, da Montante e da Casini con il consenso di Bersani. Questo mi è stato detto dal dottore Montante in un incontro che abbiamo avuto».

Ma a domanda diretta dello stesso Fava a colui che è stato definito «il governatore ombra», lo stesso Lumia replica parlando di sé in terza persona e dicendo di «escludere nel modo più totale che la presenza di Lumia nel governo della Regione fosse giocata sul piano gestionale. Il compito era politico, esclusivamente politico e sa, purtroppo… quando in Sicilia si ha qualche abilità politica è chiaro che le leggende metropolitane fioccano». In sostanza il senatore Lumia conferma: presente per far valere la propria opinione sul piano politico, assente quando la discussione passava sul terreno della gestione, cioè delle decisioni.

I rapporti con l’informazione
«Ad aiutare Montante nella sua ascesa nell’olimpo dell’antimafia – scrive la commissione – un ruolo determinante lo gioca l’informazione, che contribuisce a creare e poi a nutrire la mitologia del presidente di Confindustria Sicilia. Certo, come ricorda in audizione il giornalista del Foglio Giuseppe Sottile, i giornalisti in molti casi finivano solo per prendere atto di un processo di santificazione istituzionale che aveva ormai attraversato tutti i palazzi del potere».

Ma la commissione evidenzia anche come «nel suo rapporto con l’informazione, Montante metta in campo tutte le tecniche di seduzione (o di intimidazione): blandisce, compra, promuove, assume, ascolta, gioca di volta in volta a fare da editore, finanziatore, datore di lavoro, commensale, ospite, confidente. Ma sa anche colpire: minacce, dossier, pedinamenti, indagini illegali, querele a volontà. La misura è semplice: gli amici sugli altari, gli ostili sul libro nero». Sul clima di quei giorni e sui rischi che si correvano mettendo in dubbio la sacralità dell’immagine di Montante, il giornalista de La Sicilia Mario Barresi ricorda un episodio: «Ci fu una mia intervista all’ex assessore Nicolò Marino pubblicata l’11 novembre del 2014. Oltre a denunciare che il governo regionale, e Crocetta in particolare, fosse piegato su Confindustria, mi dice, da ex magistrato: “Io ero a Caltanissetta, sapevo chi era Montante e anche Crocetta doveva sapere chi era Montante”. Lo Bello e Montante – prosegue Barresi – presentano querela e in tempi record vengo convocato come persona informata dei fatti per conto della Procura di Catania. Chi fa questo mestiere sa che anche i tempi della giustizia sono molto lenti. Invece mi colpì il fatto che venni convocato praticamente in tempo reale».

Uno dei giornalisti più esposti è stato certamente Attilio Bolzoni, autore, insieme a Francesco Viviano, dell’articolo che rivela, nel febbraio del 2015, le indagini a carico di Montante. In audizione Bolzoni ha raccontato di avere avuto la sensazione, pochi giorni dopo la pubblicazione dei primi articoli, di essere pedinato: «Due volte vengo sicuramente fotografato all’aeroporto di Fiumicino – racconta – Viene aggredita la mia ex moglie da un personaggio che finge di avere una pistola, (…) ma che non voleva fare rapine. Il giorno dopo alcuni personaggi cercano di introdursi nel suo studio dentistico. Io – prosegue il giornalista, elencando gli episodi sospetti – vado a lavorare al Cara di Mineo con Viviano e vengo avvicinato da una fonte che ci dice: “State attenti che avete firmato quel pezzo, perché qualcuno con cinquemila euro prende due killer di Gela e vi fa fuori”. Io ritorno al giornale, sono abbastanza abituato a queste cose, avverto il direttore. Lui si preoccupa, tant’è che il primo maggio del 2015 lo passo al Viminale col capo della polizia. Resto sul vago, anche perché sapevo che il Viminale era molto spesso frequentato da Montante, era di casa, e il capo della polizia me lo conferma».

Fava ricorda anche a Bolzoni che nel misterioso bunker di Montante «era contenuto un foglio in cui c’era scritto che il Bolzoni non va in giro come giornalista ma come affiliato alla mafia». Si tratta di un anonimo spedito il 5 novembre del 2015, praticamente nove mesi dopo che Repubblica aveva dato notizia che Antonello Montante era sotto inchiesta. «È interessante – commenta Bolzoni – perché il pezzo che ho fatto è del 30 ottobre e proprio il 5 novembre ai dirigenti di Sicindustria arriva l’anonimo dove io sarei un affiliato della mafia e c’è aggiunto anche che stavo attentando alla vita di Montante, Lo Bello ed altri dirigenti di Sicindustria. E lo stesso 5 novembre, un poliziotto infedele fa l’accesso sullo Sdi. Inizia il dossieraggio nei miei confronti e della mia compagna».


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