Prezzo della corruzione per avere altri appalti o la restituzione di una somma dovuta? Il racconto del teste Giuseppe Caronia, un tempo legato da un rapporto professionale e di amicizia con l’avvocato sotto processo, rimane criptico anche davanti ai giudici nisseni
Caso Saguto, la misteriosa mazzetta a Cappellano Seminara «Gli ho dato 20mila euro in una busta, ma erano soldi suoi»
«Lui mi fa lavorare perché io ci faccio i lavori gratis, hai capito?». Non è esattamente quello che ripete davanti ai giudici di Caltanissetta, adesso, Giuseppe Caronia, architetto palermitano legato in passato da un rapporto professionale e di amicizia con l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara. Quest’ultimo è tra gli imputati del processo a Silvana Saguto sulla presunta mala gestio dei beni confiscati. Nell’aula del tribunale nisseno, adesso, Caronia parla a più riprese, in qualità di testimone, di un «rapporto leale e sincero con lui». Che cosa è cambiato? «Non ho mai avuto a che fare con la giustizia, mai nessun problema, nessun interrogatorio. Quando le autorità mi hanno chiamato la prima volta non avevo nemmeno capito bene di cosa si stesse parlando – spiega -, ho realizzato solo dopo, quando i finanzieri hanno fatto irruzione in casa mia all’alba. Io faccio l’architetto, non faccio l’impresa o altre cose, non è stata una questione di malafede». Ma quindi, Cappellano Seminara pagava o se ne approfittava? «Io recuperavo bene o male le spese, non avevo grossi margini, un ritorno insomma – cerca di spiegare -. Con lui si andava avanti così: facevo i computi metrici, lui li accettava e poi facevo le fatture. “Io ti affido l’incarico, ma per me i prezzi sono cari e non riesco a pagarli”, mi diceva».
Tutto in maniera informale, racconta il teste, senza nulla di scritto. «Io emettevo le fatture, per una di circa 60mila euro mi pare che dopo avermela pagata mi chiese uno sconto, di restituirgli 20mila euro in contanti che lui aveva versato alla mia impresa di costruzioni e che io ho accettato – continua -. Mi disse di sbrigarmi». Una rinegoziazione che era capitata altre volte, quando lui riteneva che c’era stato qualcosa di esagerato o che non lo convinceva troppo nei lavori svolti da Caronia. E che nella ricostruzione fatta invece dalla procura non sarebbe che una mazzetta, il prezzo della corruzione. «Non penso di essere un cretino, in ballo c’era questa questione di restituzione, non c’era tra me e lui una questione di consuetudine in termini di documenti, ho intuito che con quella parola alludeva alle somme, non c’è altro», ribadisce più volte, senza convincere troppo il pubblico ministero che lo incalza, sottolineando che negli interrogatori di tre anni fa l’architetto aveva spiegato invece che con la parola documenti i due alludevano per davvero a dei documenti. Come avveniva spesso anche nelle conversazioni tra Silvana Saguto e lo stesso avvocato Cappellano Seminara. «Era una frase di contorno, che non fa parte del contesto della telefonata, non significa nulla, serve solo a sviare il discorso», ribatte invece il teste.
Ma perché questi sconti a contratto già eseguito e concluso? «Lui mi aveva detto che voleva affidarmi l’incarico per ultimare i lavori di palazzo Brunaccini, la società ha difficoltà a pagarti questa cifra, ti prendi le spese. E io l’ho accettato e basta». Nel 2015, però, davanti ai finanzieri raccontava che lo sconto era stato chiesto al momento del pagamento e di aver ceduto solo dopo molta insistenza da parte dell’avvocato, temendo che altrimenti non avrebbe ricevuto più altre commesse. Non è esattamente quello che riferisce ai giudici adesso. «Come no, la stessa cosa», ribatte però il teste. «C’è stata forse un po’ di tensione – aggiunge -, ma non volevo nessuno scontro. Un piccolo sconto a fronte di futuri appalti. I soldi erano dell’avvocato e io glieli ho restituiti, racimolandoli dalle mie società e dai miei conti. Erano in contanti e in una busta bianca, glieli ho consegnati una sera a piazza Sturzo, a bordo della sua auto». Non ricorda molto altro, Caronia. «Tutta questa storia mi ha coinvolto notevolmente, sono stato un po’ confuso», ammette a un certo punto. Non si sentono, i due, da quando i magistrati hanno sentito l’architetto e le sue dichiarazioni sono diventate di dominio pubblico.
«Io ero in buona fede, ho sempre pensato che quei soldi dovesse usarli per cose sue personali, non sospettavo di alcuna finalità illecita – conclude -. Non pensavo di fare qualcosa di illegale restituendo ventimila euro. Cosa ho fatto di illecito? Tutta questa storia sta prendendo altri contorni, e dire che io mi sentivo un fesso a restituire quei soldi e a pagare le tasse, ma l’ho fatto per avere poi l’appalto. Tutti i lavori che ho fatto per lui glieli ho regalati, progettazioni non pagate, lavori poi pagati con qualche sconto, pensate a che grandi utili ho avuto con Cappellano Seminara».