La donna dello storico capomafia, in carcere dal 1992, viene immortalata mentre incontra un uomo all'interno di un ristorante. Il gruppo voleva capire la destinazione di un container, senza sapere che lo stesso era già stato ispezionato a Panama. Guarda le foto
Le foto del summit della compagna del boss Cappello A Roma con l’emissario di Big, un narcos colombiano
Era stato mandato dal suo capo a Roma direttamente da Caucasia, in Colombia. Un broker del narcotraffico, nome in codice Bomber, con un compito preciso. Quello di incontrare faccia a faccia gli acquirenti italiani con cui definire gli ultimi dettagli di una mega importazione di cocaina. Il suo nome è Pedro e per riconoscerlo mentre passeggiava nei pressi della stazione Termini bastava guardagli la schiena. Perché sulle spalle portava una zaino grigio. Un segno distintivo che non sfugge agli investigatori in un uomo che cammina in compagnia di due persone. Insieme si dirigono verso l’ingresso del ristorante Pizzarito-Pastarito. All’interno dell’attività commerciale in quell’incontro, avvenuto il 18 maggio 2016, viene fotografata anche Maria Rosa Campagna. Nota per essere la compagna da trent’anni di Salvatore Turi Cappello. Il boss catanese condannato all’ergastolo, in carcere ormai dal 1992. La donna non è un personaggio qualunque, tanto da essere tratteggiata come una sorta di grimaldello capace di insinuarsi in tutti i porti italiani dove arrivano i carichi di cocaina provenienti dal Sud America. Il suo è infatti uno dei nomi di rilievo dell’operazione European ‘ndrangheta connection, che nei giorni scorsi ha portato a 90 arresti. Di quel summit non ci sono intercettazioni ma alcune foto che MeridioNews è in grado di mostrare.
Secondo gli atti dell’inchiesta, all’interno del ristorante (l’attività non è coinvolta nell’indagine, ndr) si sarebbe discusso di un container in arrivo in Italia via mare. Un carico da 128 chilogrammi di cocaina che però l’organizzazione aveva qualche difficoltà a rintracciare. A fare parte di questo cartello, oltre alla donna, sarebbero stati due fratelli originari di Caserta. Giulio Rubino avrebbe operato sul fronte italiano, mentre su quello colombiano si sarebbe mosso Serafino, attualmente latitante e vero e proprio fulcro del gruppo. L’uomo è in contatto quotidiano con il parente, ma anche con la «zia». Appellativo utilizzato per indicare proprio Maria Rosa Campagna nelle continue comunicazioni che viaggiavano attraverso le chat cifrate pin to pin dei dispositivi BlackBerry. All’incontro la donna si presenta in tenuta sportiva e con i capelli scuri raccolti in una coda. In un primo momento viene fotografata di spalle, a passeggio accanto a Pedro e a un altro uomo, e successivamente all’interno del ristorante con Giulio Rubino.
I timori per la destinazione del carico non si alleggeriscono e aumentano ancora di più dopo l’incontro romano. Anche perché Pedro non sembra essere stato di molte parole. «Non ci capiamo perché non parla», si lamenta Rubino con il fratello che si trova in Colombia. La chat tra i due prosegue: «Deve vedere quando si apre il plico, e poi lo hanno mandato gli amici di Big, che ti devo dire». Big, mai identificato con un nome e cognome, sarebbe il narcotrafficante con cui il gruppo stringeva gli accordi tra Argentina e Colombia.
Nella confusione per il recupero del carico c’è pure qualche sospetto per alcune persone, che il giorno prima si muovevano nei pressi del ristorante: «Abbiamo visto facce strane e situazioni strane […] come se qualcuno guardasse da fuori del locale […] e Zì dice che a casa sua non lo vuole», spiegava sempre Giulio Rubino al fratello. Intanto il container con l’identificativo INBU3711911 qualcuno lo ha già ispezionato. Il cartello della droga non lo sa ancora ma le autorità di Panama dentro quel contenitore avevano sequestrato i 128 chili di cocaina tanto attesi. Ecco perché quando arriva in Italia, nel porto di Napoli, dentro viene trovato soltanto zucchero.