Sono vestiti come i giocatori del Catania e, proprio come loro, passano il tempo giocando a calcio. Ma lo fanno per la strada, tra auto e motorini, perché un altro posto nel quartiere non esiste. Alcuni lanciano pietre contro i passanti, tentano piccoli scippi, incendiano cassonetti della spazzatura e automobili in sosta. E da quando il centro popolare occupato è stato sgomberato, il rione secondo chi ci vive è diventato un'isola che per le istituzioni non c'è. Guarda il video
Pallone, vandalismi e l’Experia chiuso I «bambini sperduti» dell’Antico Corso
Maicol e Francesco hanno 12 e otto anni. Giocano per le strade del quartiere Antico Corso via Bambino, via Idria e via Purità, soprattutto con un vecchio pallone di cuoio. Sono vestiti come gli atleti del Catania calcio, «ma adesso ci dobbiamo comprare i parastinchi», ridono. Fanno discorsi da grandi, raccontano quello che fanno con il tono dei bambini e le parole degli adulti, in dialetto il più delle volte. «U’ sai cu mossi?». «Lo sai chi è morto?», chiede Francesco a Maicol. Parlano di qualcuno, lo chiamano «zio» entrambi, anche se non sono parenti. Lo «zio» morto, dicono, era una persona buona, uno che «per noi ci voleva bene», che regalava caramelle anche se era invalido su una sedia a rotelle e stava male. Maicol e Francesco, 12 e otto anni, giocano a calcio per la strada e si raccontano i funerali del quartiere. Oppure fanno a gara a chi ha il cavallo più bello nella stalla accanto a casa, in via Plebiscito. Francesco l’indomani andrà a vendere la frutta con il marito di sua madre, «iddu guida a’ lapa, iu mi c’allippu d’arreri». Maicol rimarrà a casa col suo cane, un barboncino bianco, e studierà un po’. Vuole fare il calciatore, da grande, ma le professoresse «Io voglio studiare, sono già arrivato alla prima media» gli hanno detto che se vuole diventare bravo a calcio deve fare le scuole superiori e l’università. E lui è decisissimo. Quando non si allena in mezzo alle macchine e ai motorini, Maicol salta dentro al cortile posteriore dell’ex centro popolare occupato Experia, lo attraversa, e da un cancello chiuso con un catenaccio ma con le sbarre abbastanza larghe da farci passare in mezzo una persona entra nel campo di cemento dell’istituto comprensivo Manzoni.
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I residenti lo sanno che il giardino alle spalle dell’Experia è una zona franca. Il cpo sta là, chiuso e impenetrabile, ma il giardino è un’altra storia. C’è un buco nel muro e per aiutarsi a scavalcare ci sono delle pietre, lì per terra, a mo’ di scalini. Saltare dentro significa sapere di poter fare qualunque cosa. «Qualche volta si limitano a giocare a pallone, altre volte insultano i passanti, tirano le pietre», afferma Mariagrazia Messina, che dal balcone di casa sua vede tutto. «Sono bambini senza educazione, che non vanno a scuola sostiene Si vede da che tipo di contesto vengono». La signora Messina abita in via Purità da cinquant’anni e non crede che le cose siano peggiorate. Anzi, da quando l’Experia è stato sgomberato, due anni e qualche mese fa, lei è più contenta: «C’era gente che a guardarla non era raccomandabile: avevano i cani, erano sempre ubriachi, si drogavano, tenevano la musica alta tutta la notte». Marisa Cantale, la sua vicina di casa, è d’accordo. Di quel centro sociale non ne poteva più, delle bottiglie di birra sulle scalinate di via Bambino e del rumore fino alle tre del mattino.
La ragazza bionda che è stata scippata qualche settimana fa, però, non la pensa così. «Era comunque una presenza nel quartiere spiega In fondo non davano fastidio». A preoccuparla, invece, è la deriva che sta prendendo l’Antico Corso. «Siamo abbandonati, non si spendono nemmeno i soldi per mettere le videocamere di sorveglianza, sanno che è inutile». Perché tanto una rapina come quella che ha subìto lei si fa in fretta a compierla. «Stavo tornando a casa e ho incrociato questa persona», racconta. Non sa dire se fosse un tossico o un ubriaco, né quanti anni avesse, sa soltanto che l’ha picchiata, l’ha trascinata giù per le scale e poi le ha portato via la borsa.
«Non ce la facciamo più, la polizia non fa niente, i carabinieri non si fanno vedere», denuncia Ivan Nicosia. La porta di casa sua dà sulla strada e quello che vede quando la apre non gli piace. «È stata incendiata una macchina qualche giorno fa». Il quotidiano La Sicilia, raccontando l’episodio, parlava di «giovani teppisti padroni dell’Experia», e Nicosia rilancia: «Padroni del quartiere». La macchina posteggiata era di un uomo in ospedale dicono che sua moglie stesse partorendo, ma nessuno lo sa per certo e a darle fuoco sarebbero stati dei ragazzini. «Incendiano i cassonetti della spazzatura in continuazione, hanno dato fuoco a qualcosa e l’hanno buttata sotto l’automobile per vedere che succedesse, quando la gente ha cominciato a scendere di casa e a chiamare i vigili del fuoco sono scappati», ricorda Nicosia.
«Hanno dato la colpa a noi si lamentano Maicol e Francesco ma quel giorno neanche c’eravamo». Dicono di non avere idea di chi possa essere stato, poi insinuano che la colpa non fosse di un bambino. «Può essere stato un adulto, non sarebbe strano, ma sicuro la macchina non era di qua, perché se no succedeva un inferno». Negano anche di aver mai lanciato pietre addosso a qualcuno, o di aver preso in giro i passanti. «È brutto perché così tutto il quartiere diventa cattivo, ma ci sono le persone civili e quelle incivili si arrabbia Maicol Quelle civili rispettano le cose degli altri, quelle incivili no». Gli incivili sarebbero alcuni ragazzini più grandi, quindici anni al massimo, che coi motorini arriverebbero direttamente da Librino. I carabinieri dicono che è altamente improbabile, che da un quartiere all’altro non c’è il rischio che si diano fastidio a vicenda, ma Daniele Zito, uno degli ex occupanti del cpo Experia, spiega che la situazione è più complessa: «L’Antico Corso è stato sventrato, molte famiglie sono state costrette a trasferirsi a Librino per via del caro affitti, per esempio». Alcuni sarebbero ragazzini cresciuti in via Plebiscito e trapiantati altrove, con amici e parenti ancora da quelle parti.
«Quando c’era l’Experia era pieno di giovani che invece di stare per la strada stavano lì dentro», ricorda Raffaele Pisani, un signore anziano che abita proprio di fronte al portone rosso adesso sigillato. «Il lavoro sociale degli occupanti era bello sorride Sotto certi punti di vista è stato un male che li abbiano sgomberati». E conclude: «Ci avessero fatto qualcos’altro, con quell’edificio! Invece è abbandonato, chiuso e nessuno se ne cura». Ci sono solo i bambini come Maicol e Francesco, sperduti nel quartiere che per le istituzioni non c’è.