Rifiuti, alla Regione si teme il partito delle discariche «Comuni non mostrano interesse a impianti pubblici»

Il Pdd è un partito che non esiste. O meglio che esiste ma che, lavorando sotto traccia, non ha bisogno di simboli né tantomeno di acronimi. È il partito delle discariche e i suoi rappresentanti si troverebbero dentro e fuori i palazzi istituzionali, intenti a non farsi riconoscere ma soprattutto a rallentare l’uscita della Sicilia dall’emergenza rifiuti. La tesi ultimamente corre tra i corridoi degli uffici regionali e sarebbe stata accennata di recente anche nel corso di un’audizione tenuta dalla commissione regionale Antimafia guidata da Claudio Fava. 

D’altronde il tema e la sua storia, non solo recente, si prestano ampiamente a letture non ufficiali: quello dei rifiuti in Sicilia è uno dei settori più intricati, in cui le responsabilità di natura gestionale e organizzativa nel corso degli anni si sono intrecciate con le manovre di chi è riuscito a creare business milionari a spese dell’ambiente e nelle cui pieghe si è annidata in più di un caso la criminalità organizzata. Capace di inserirsi negli appalti pluriennali grazie a imprese compiacenti, ma anche di immaginare un ingresso ufficiale nel settore con la creazione di società di sana pianta, come emerso nell’inchiesta Gorgoni che ha fatto luce sugli affari dei clan ai piedi dell’Etna. 

Su questo sfondo si muove da ormai quasi un anno il governo Musumeci, che sin dal suo insediamento ha posto nella risoluzione dell’emergenza spazzatura uno dei principali obiettivi. Lontane le percentuali previste dalla legge, i passi avanti nella differenziata nel 2018 sono stati comunque evidenti: nella prima metà dell’anno si è passati dal 24,6 a oltre il 30 per cento. Soglia quest’ultima che in un primo tempo il presidente della Regione, forte anche dei poteri commissariali concessigli dal governo nazionale, aveva fissato per evitare ai Comuni lo scioglimento delle amministrazioni – poi escluso da un pronunciamento del Tar – e l’invio dei rifiuti all’estero. Ipotesi, quest’ultima, ancora ufficialmente in campo anche se già oggetto di diverse proroghe.

Parlando di proroghe, l’ultima risale ad agosto quando da palazzo d’Orleans è stato comunicato agli enti locali inadempienti la necessità di presentare dei piani dettagliati in cui inserire le misure che sarebbero state intraprese per innalzare i livelli di differenziata. Principali destinatari del messaggio i sindaci di Palermo, Catania e Messina. I tre capoluoghi, infatti, rappresentano i casi più gravi, con quello etneo che a luglio ha segnato un’ulteriore flessione registrando un misero sette per cento. 

A tal proposito le voci che trapelano dagli uffici regionali parlano di valutazioni un po’ diverse per i tre piani di recupero: infatti, mentre nel caso di Messina l’amministrazione De Luca avrebbe inviato delle linee di intervento sufficientemente dettagliate da alimentare la speranza di un innalzamento delle percentuali, a latitare sarebbero ancora Palermo e Catania. Orlando e Pogliese avrebbero promesso di ottenere risultati migliori con un efficientamento dei servizi attualmente in atto, puntando sull’aumento della differenziata nei luoghi della grande distribuzione e un’estensione del porta a porta. «La sensazione è che non si stia facendo ancora abbastanza – commenta chi ha letto i piani inviati in Regione -. Si continua a sostenere di non avere soldi a sufficienza per estendere all’intera città il porta a porta, ma la verità è che non esistono altre ricette magiche. Il porta a porta è necessario e per quanto richieda sforzi economici, garantirebbe dei rientri in termini di risparmio in costi di discarica e provento dalla vendita del rifiuto differenziato».

I dati dicono che a Palermo gli abitanti interessati dal porta a porta sono circa 150mila su 673mila, mentre a Catania meno di 50mila su oltre 300mila. Per gli altri resta in vigore il sistema che è andato avanti per decenni: sacchetti che contengono di tutto da destinare nelle discariche, molte delle quali private. «Nell’ultimo anno i gestori hanno visto ridursi gli affari per circa 30 milioni ed è normale che c’è chi ogni tanto trova il modo per comunicarci il proprio fastidio», confida un funzionario. Davanti a un cambiamento che, seppure lento, sembra inevitabile c’è anche chi sta provando a diversificare l’offerta pensando di investire nell’apertura di impianti di trattamento dell’organico o di produzione di combustibili a partire dai rifiuti. 

L’obiettivo di Musumeci resta però quello di riuscire a mettere in moto la macchina amministrativa decentrata con lo sviluppo dell’impiantistica pubblica, nell’intento di assicurare a ogni provincia tutte le strutture necessarie a chiudere nel raggio di poche decine di chilometri il ciclo dei rifiuti. Una mossa che andrebbe a colpire anche il settore del trasporto della spazzatura, in cui secondo alcuni si registrerebbero concentrazioni di potere sospette. «Fino a che i Comuni saranno costretti a conferire i rifiuti in siti lontani anche centinaia di chilometri sarà necessario fare affidamento a terzi per il trasferimento, in quanto è necessario usufruire di mezzi molto grandi. Se invece ogni territorio avesse una propria impiantistica, a occuparsi dei conferimenti potrebbero essere gli stessi soggetti che si occupano della raccolta», fa riflettere il funzionario.

Tutti questi propositi si scontrano con lo stallo di chi sarebbe chiamato invece a pianificare lo sviluppo e l’organizzazione del settore. Qui entrano in gioco le bistrattate – perlopiù a ragione – Srr. Le società di regolamentazione dei rifiuti, che il governo regionale punta peraltro a superare con la sostituzione di nuovi enti territoriali, nei mesi scorsi sono state sollecitate a presentare progetti per la realizzazione di nuovi impianti. A partire da quelli di compostaggio. Di risposte però ce ne sarebbero state pochissime. «Ci si lamenta che la differenziata resta bassa perché non ci sono strutture adeguate ma poi non si fanno gli impianti. La verità è che finora ci si è accontentati della presenza dei privati, senza pensare a soluzione alternative. Chiedersi come mai è una domanda fondamentale», conclude il funzionario, assicurando di non avere in tasca alcuna tessera di partito. Tantomento del Pdd.


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