Giuseppe Suriani, 30 anni, Michele Corselli, 28 anni, e Salvatore Bagiante, 29 anni, sono due ingegneri microelettronici e un fisico. Si sono inventati eRalos3, un modo per ricaricare cellulari e altri dispositivi con un adesivo tecnologicamente avanzato e un filo conduttore lavabile: «Il sogno è fondare un'azienda che dia lavoro in Sicilia e sia d'ispirazione per i giovani che hanno un'idea valida»
Lo smartphone? Col sole lo ricarichi tu Tre catanesi inventano le celle per i vestiti
A capire di che si tratta, l’idea è buona: una fonte di energia disponibile sempre e ovunque. Grazie a celle fotovoltaiche flessibili, leggere, sagomabili. Si chiamano SolarWriting e non sono altro che adesivi da applicare ai vestiti con del comunissimo velcro. Giuseppe Suriani, 30 anni, Michele Corselli, 28 anni, e Salvatore Bagiante, 29 anni, sono due ingegneri microelettronici e un fisico, che si sono incontrati durante un master in scienze dei materiali a Catania. «Eravamo a cavallo tra il 2007 e il 2008, ma abbiamo deciso di mettere in piedi la società solo nel 2010», racconta Suriani. Il loro progetto imprenditoriale si chiama eRalos3 e si basa su un concetto semplicissimo: «Girare con un cellulare scarico, ormai, è una tragedia e i caricabatterie non sono tascabili, né comodi da portare in giro, né esteticamente belli». Quella che propongono loro è un’alternativa che mette insieme il design e la moda, senza rinunciare a una tecnologia avanzatissima. «Offriamo energia pulita, ottenuta senza fatica e senza nemmeno doverci pensare», spiega Giuseppe, che dei tre soci è l’unico che vive ancora all’ombra dell’Etna. «Salvatore è a Zurigo, Michele è a Genova, ma speriamo di tornare tutti qui grazie al nostro prodotto».
È cominciato tutto all’università, grazie a una conferenza durante la quale si presentava un concorso internazionale. Nello specifico, una business plan competition: «Per partecipare e confrontarsi con realtà di tutto il mondo bastava presentare un foglio con un’idea». Quella loro «Che punta a rendere l’individuo energicamente indipendente» è arrivata tra le cinque finaliste, concorrendo con europei e statunitensi. «Il primo premio erano 300mila euro: non l’abbiamo vinto, ma l’importante era capire che quello che avevamo pensato aveva un valore, che potevamo farci strada nel mondo». Anche senza l’aiuto del loro ateneo d’appartenenza. «Non abbiamo mai avuto un aiuto dall’università di Catania, né l’abbiamo cercato», dice Giuseppe, specializzato in ingegneria microelettronica che non risparma un giudizio tagliente: «Visto come vanno le cose là dentro e le persone che ci lavorano, se avessimo parlato di una cosa come la nostra, forse, non avrebbero nemmeno capito di che si trattava». Ovunque, però, il valore della loro proposta è stato capito: «Abbiamo vinto diverse competizioni a livello globale, siamo stati per due mesi nella Silicon Valley, ospiti dello stesso incubatore di WordPress, abbiamo presentato eRalos3 alla Stanford University e poi a New York».
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A dar loro una mano ci ha pensato l’Istituto di microelettronica e microsistemi del Consiglio nazionale delle ricerche (Imm-Cnr), che si trova a Catania e lavora a stretto contatto con la St microelectronics, la multinazionale che produce microcomponenti e che nella Etna Valley ha una delle sue sedi più prestigiose. «Nei laboratori del Cnr abbiamo iniziato a lavorare alla nostra tecnologia proprietaria ricorda il giovane ingegnere Volevamo creare qualcosa di bello a vedersi e funzionale». Il risultato finale è il SolarWriting, un adesivo a basso costo, che non solo si può applicare sui vestiti, ma può anche avere la forma del logo di qualunque marchio. E che produce energia. «Per connettere l’adesivo con uno smartphone abbiamo pensato a cavi tessili, quindi lavabili, che conducono l’energia e la trasferiscono al dispositivo grazie a clip metalliche. Anche queste si possono comodamente staccare». Tra le due e le tre ore per ricaricare un cellulare col sole, e un un po’ di tempo in più con la luce artificiale.
Il lavoro, però, non è finito. «Stiamo scrivendo i brevetti per una nuova tecnologia, ancora più semplice, funzionale e innovativa». Sull’argomento, la bocca di Giuseppe è cucita, tranne che per un dettaglio: «Il nome di sviluppo è Solexma, però probabilmente non lo cambieremo». Per realizzarlo, però, ci vogliono soldi e investimenti. «Finora abbiamo speso 100mila dollari, che per un progetto tecnologicamente avanzato come il nostro sono pochissimi: il problema è che in questo periodo si danno soldi alle start-up web, più economiche, mentre noi lavoriamo su cose tangibili e costose, e abbiamo bisogno di almeno 700mila euro per finire». Il prototipo è vicino e le prospettive sono globali: «Il nostro è un progetto mondiale, il nostro Paese non è solo l’Italia, né il nostro mercato di riferimento finisce qui». Ambiziosi, certo, ma con un sogno: «Che l’azienda, quando riusciremo a crearla, sia stabile in Sicilia, affinché crei occupazione, opportunità e, soprattutto, sia d’ispirazione per i giovani che, come noi, hanno un’idea valida». Giuseppe Suriani ci crede: «Sono molto legato alla mia terra, mi rendo conto che sia di una difficoltà tremenda vivere qui, ma fin quando posso non mollo».