Si aprirà il 4 marzo il processo che vede coinvolto l'ex consigliere comunale catanese. Secondo la procura, le avrebbe tentate tutte per arrivare a sala d'Ercole, compreso pagare. Dalle carte emergono i rapporti con gli ex sindaci di Aci Catena e Mascali
Regionali, a processo l’ex consigliere Pellegrino I presunti favori elettorali da Maesano e Susinni
Avrebbe comprato voti al costo di cinquanta euro tra Catania, Aci Catena, Acireale, Vizzini e Ramacca. Sfruttando da una parte le amicizie con i ras locali della politica e dall’altra le aspettative dei galoppini, sedotti magari con la promessa di finanziare una piccola festa di paese. Riccardo Pellegrino le avrebbe provate tutte pur di arrivare a sedere a sala d’Ercole, compreso pagare. Di ciò sono convinti i magistrati della procura di Catania Tiziana Laudani e Marco Bisogni, che nei giorni scorsi hanno recapitato all’ex consigliere comunale di Catania – e più di recente candidato sindaco alle scorse Amministrative – un decreto di citazione a giudizio. L’inizio del processo è fissato per il 4 marzo prossimo, davanti al tribunale monocratico.
È questo l’epilogo del primo filone dell’indagine che, a fine marzo, ha travolto Pellegrino, che alla vigilia delle Regionali era finito al centro dell’attenzione perché considerato tra i candidati impresentabili a sostegno del futuro governatore Nello Musumeci. Uno stigma legato ai problemi giudiziari del fratello Gaetano, condannato in primo grado per mafia nel processo Ippocampo e ritenuto organico al clan guidato da Nuccio Mazzei. Il figlio incensurato di quest’ultimo, Carmelo, è tra le persone più vicine a Pellegrino. Stando a quanto ricostruito dai magistrati etnei, l’esponente di centrodestra avrebbe puntato in particolar modo su due politici navigati della costa ionica per estendere il proprio consenso ben oltre la città di Catania e quel quartiere di San Cristoforo da sempre sua roccaforte: Ascenzio Maesano e Biagio Susinni.
Il primo è l’ex sindaco di Aci Catena, di recente condannato in secondo grado per corruzione e prossimamente a processo per un’accusa simile in un’inchiesta attorno all’appalto settenale dei rifiuti su cui avrebbero messo le mani anche i clan mafiosi Cappello e Laudani. A Maesano sarebbero direttamente riconducibili alcuni dei 12 indagati. È il caso, per esempio, di Giuseppe Panebianco, Ivan Andrea Guarrera, Antonino Castorina e Orazio Cutuli. Su di loro – tutti destinatari del decreto della procura – l’ex primo cittadino avrebbe confidato per attirare voti verso Pellegrino. Per la procura l’intento di Maesano, che avrebbe commesso il reato mentre si trovava agli arresti domiciliari, sarebbe stato quello di «mantenere l’influenza politica sul territorio di Aci Catena». E al contempo, forse, di sublimare l’ambizione di diventare onorevole, obiettivo a cui è stato costretto a rinunciare dopo l’arresto effettuato, a ottobre 2016, dagli uomini della Direzione investigativa antimafia.
Funzionale allo stesso obiettivo sarebbe stato il ruolo di Susinni. L‘ex sindaco di Mascali – in carica nel 1992 quando il Comune ionico venne sciolto per mafia la prima volta e deus ex machina dell’operazione che vent’anni dopo portò all’elezione di Filippo Monforte, la cui amministrazione nel 2013 è decaduta per nuove infiltrazioni della criminalità organizzata – si sarebbe mosso non solo nell’Acese, ma anche nell’entroterra etneo: a Vizzini, Susinni – che nei giorni scorsi è stato protagonista di un comizio ai limiti del surrealismo con il generale Antonio Pappalardo – insieme a Santo Gulisano avrebbe messo in contatto Pellegrino con Gesualdo Briganti.
Susinni, a differenza di Maesano, è interessato anche dal secondo filone dell’indagine. La notizia è stata data a giugno da questo giornale: ad aprile la procura ha notificato a una lunga serie di indagati – compresi diversi politici di Aci Catena vicini all’ex deputato Pippo Nicotra e al padre della principale esponente della Lega ad Acireale – l’avviso per un incidente probatorio che di lì a breve si sarebbe svolto, nell’ambito di un’indagine in cui, accanto al voto di scambio semplice, si ipotizza quello politico-mafioso. Nel mirino degli inquirenti ci sarebbe stato proprio il cellulare di Pellegrino.
Il tour dell’aspirante deputato regionale avrebbe infine fatto tappa anche a Ramacca, con l’intento di contattare Antonio e Salvo Di Benedetto. In questa occasione a essere coinvolto nella compravendita sarebbe stato anche il padre di Pellegrino, Filippo. L’uomo, a marzo, sarà chiamato ad accompagnare il figlio in tribunale. Anche lui in veste di imputato.