Suor Jacinta, dall’Uganda al Centro di Brancaccio «Prima c’era diffidenza, ora ci aiutiamo a vicenda»

Dall’Uganda a Palermo per occuparsi del prossimo. Suor Jacinta non si risparmia, e si dedica pienamente a chi ha più bisogno. E lo fa in uno dei quartieri più complessi della città, Brancaccio, prestando il proprio contributo nel Centro Padre Nostro, fondato da padre Pino Puglisi, occupandosi di 80 anziani. «Vengo da una famiglia unita, con genitori santi, che mi hanno trasmesso grandi valori. È importante avere una famiglia che ti formi con amore, ci sono tanti figli che hanno avuto solo schiaffi e mai una carezza», racconta, ospite alla Missione Speranza e Carità di Biagio Conti in via Decollati. «Quando avevo 15 anni ho detto a mio padre che volevo diventare suora, lui mi ha risposto di finire prima gli studi e se dopo avessi avuto ancora quel desiderio, avrei potuto seguirlo».

Si diploma in lingua inglese e subito si dedica all’insegnamento. Ma è una parentesi di un anno, dopo la quale decide di venire in Italia e di prendere gli agognati voti. «Amo moltissimo i miei genitori e loro amano me, amo l’Uganda e amo insegnare ai miei studenti, ma seguire Dio è un amore ancora più grande – spiega -. Ho detto che sarei partita per l’Italia solo per tre mesi per dare loro una speranza, in realtà sono rimasta sei anni per prendere i voti e solo allora sono tornata in Africa». Malgrado i piani diversi dei genitori, la famiglia accoglie con gioia la notizia e il suo ritorno a casa. Ma anche quella è solo una parentesi breve. Una festa veloce e poi una nuova missione, quella che la porta nel capoluogo siciliano.

E della città e di Brancaccio conosce molto, compresa la mafia. «Per non fare preoccupare la mia famiglia non ho detto che sarei andata a Brancaccio. Tante suore mi hanno chiamata preoccupate per il mio trasferimento», rivela. A distanza di quasi un anno, però, può già tirare le somme. «All’inizio gli abitanti del quartiere non mi davano confidenza, ora invece sono molto accoglienti, si confidano sui loro figli per avere un consiglio, un sostegno, sanno che possono contare su di me e io su di loro». Tante le attività in cui è coinvolta insieme ai residenti del quartiere: gite, pranzi fuori porta, lavori in ceramica, danza, preghiere ed esperienze di condivisione. Nel Centro si occupa anche di recupero scolastico per bimbi delle scuole elementari e per ragazzi delle scuole superiori, insegnando a imparare e a perfezionare l’inglese. Oltre ad accogliere i numerosi visitatori che si recano nella Casa-Museo Padre Pino Puglisi, raccontando la vita del beato. Ed è anche una volontaria della parrocchia San Gaetano, la stessa del prete ucciso da Cosa nostra nel ’93 e che lei considera la sua parrocchia, dove insegna catechismo e canta nel coro.

«La sera sono stanca, perché ogni giorno mi muovo solo con la macchina di San Francesco – dice sorridendo, alludendo al fatto che si muove solo a piedi -. In Africa siamo liberi di lasciare le porte aperte delle nostre case e possiamo andare a trovare ogni persona senza preavviso. Tra gli africani c’è molta solidarietà, ci sentiamo tutti fratelli e qui in Europa tra di noi ci aiutiamo. Qui in Italia invece non potete lasciare la porta aperta e per andare a mangiare a casa di qualcuno avvisate con diverso anticipo, non esiste presentarci all’improvviso come facciamo noi in Africa», racconta. Uno stile di vita diverso, con usi e costumi differenti da quelli con cui è cresciuta, ma che ha saputo accogliere e fare suoi.


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