A conti fatti, lavorando anche di sabato e di domenica, il nuovo senato cittadino avrà un margine di dieci giorni di tempo per discutere l'eventuale rimodulazione del piano di rientro. Questo, però, solo se la delibera fosse già pronta. Ma non lo è
Dissesto, la prima emergenza del nuovo Consiglio Tra paura dell’urgenza e speranza di una proroga
Se c’è una cosa su cui tutti gli ex consiglieri comunali erano d’accordo nello stigmatizzare l’operato della giunta guidata da Enzo Bianco è la questione del tempo: le delibere, soprattutto quelle sul piano di riequilibrio, arrivavano al senato cittadino all’ultimo momento utile. Impossibili da studiare come avrebbero meritato, costringendo gli eletti a un voto che spesso veniva definito «di fede». Non è detto, però, che il governo cittadino di Salvo Pogliese riesca a imprimere un cambio di passo. Anche perché, a ben guardare, i presupposti non sono dei più positivi. Il 24 settembre, data entro la quale Palazzo degli elefanti dovrebbe rimodulare di nuovo il piano di rientro per aderire alla possibilità offerta dall’ennesimo emendamento nazionale SalvaCatania, è dietro l’angolo: mancano solo 39 giorni (inclusi il sabato e la domenica) e i regolamenti consiliari impongono una tabella di marcia serrata.
«La verità è che arrivare alla rimodulazione per il 24 settembre è praticamente impossibile – dicono i beninformati – Per questo, visto che i margini ancora ci sono, speriamo che si possa modificare l’emendamento SalvaCatania beneficiando dei rimpalli tra Camera e Senato». L’obiettivo è spostare i termini un po’ più in là: il 30 novembre – come previsto, peraltro, nel testo originario proposto a Palazzo Madama e successivamente modificato – sarebbe perfetto. L’ex sindaco e adesso senatore Raffaele Stancanelli si è già messo il cuore in pace: per la sua Catania, se il nuovo tentativo s’ha da fare si farà. Sperando nell’aiuto di chi già il mese scorso si era messo a disposizione: Stefano Candiani e Renato Schifani. Tutti impegnatissimi a tendere una mano alla città dell’elefante. L’obiettivo è di arrivare sempre più su e fare sì che, di nuovo, sul capoluogo etneo cadano una pioggia di denari direttamente dal governo. Le manovre di avvicinamento tra Pogliese e il ministro dell’Interno Matteo Salvini, come emerso in conferenza stampa, vanno sotto questa luce. Nonostante qualche grillo parlante preghi per il default e per la fine degli interventi tampone.
Ancora una volta, però, il tempo è tiranno. E nell’attesa di sapere se ci saranno a disposizione un mese in più e più aiuti da Roma, il Consiglio comunale che si è insediato ieri rischia di dover correre. La eventuale delibera di rimodulazione del piano di riequilibrio deve essere presentata in aula e approvata dopo avere seguito tutti i passaggi necessari. Cioè prima deve passare dalle commissioni consiliari competenti sul tema, poi deve essere votata dal Consiglio comunale. Ma in questa fase le commissioni consiliari ancora non ci sono: la loro composizione deve garantire la rappresentanza di ciascun gruppo consiliare (esclusivamente politico, non tematico) e i gruppi hanno ancora dieci giorni per costituirsi. Da quel momento in poi, i capigruppo siedono a un tavolo – la conferenza dei capigruppo, appunto – in cui si decide il calendario delle convocazioni dei Consigli comunali. Prima che gli atti passino al senato cittadino, però, devono andare alle commissioni che li studiano. Le commissioni saranno costituite nel corso della prossima seduta di Consiglio e da quel momento ci saranno ancora dieci giorni di tempo perché ne vengano stabiliti i componenti.
Dopodiché, i componenti voteranno i presidenti di commissione che stabiliranno le date degli incontri e i relativi ordini del giorno, comunicandoli ai consiglieri con almeno 24 ore di anticipo. Da quel momento in poi, la commissione dovrebbe avere dieci giorni di tempo (in tema di bilancio i tempi si riducono della metà rispetto ad altri argomenti) per studiare ed esprimere il proprio parere. Nel frattempo, tra le 48 e le 24 ore (in caso d’urgenza) prima della seduta, l’intero Consiglio comunale deve ricevere gli atti che saranno messi al voto, per avere tempo e modo di prenderne visione. Com’è scontato, i tempi di questi ultimi due passaggi sono parzialmente sovrapponibili. Facciamo un po’ di conti, immaginando che la scadenza del SalvaCatania rimanga al 24 settembre. Il 26 agosto (domenica) i gruppi consiliari sono costituiti. Il giorno dopo, si tiene la seduta del Consiglio comunale sulle commissioni consiliari, che vengono costituite anche loro. Il 6 settembre la composizione viene formalizzata. Il 7 settembre i presidenti delle commissioni competenti sui temi di bilancio (di sicuro, la commissione Bilancio, la commissione Finanza e la commissione Partecipate) convocano, per il giorno successivo, la prima riunione sulla delibera di modifica del piano di riequilibrio.
Siamo così, facendo tutto di corsa, all’8 settembre (sabato). Data a partire dalla quale dovrebbero decorrere i dieci giorni di tempo per esprimere parere – obbligatorio – sulle tematiche di Bilancio. Mettiamo che venga richiesto un parere d’urgenza, i giorni si dimezzano a cinque. Il 12 settembre le commissioni esprimono il proprio parere e, intanto, sempre con carattere d’urgenza, viene convocato il Consiglio comunale per il 13 settembre. Il tutto, ovviamente, tenendo conto solo della parte politica e lasciando da parte i tecnici: il collegio dei revisori dei conti – che da statuto dovrebbe controllare la gestione economico-finanziaria di Palazzo degli elefanti – dovrebbe ricevere la proposta in tema di bilancio almeno dieci giorni prima del voto (cioè entro il 3 settembre), per potere esprimere il proprio parere entro il giorno del voto stesso. Questa giunta e questo Consiglio, se le condizioni rimanessero immutate, avrebbe un margine di sicurezza di dieci giorni – lavorando anche il sabato e la domenica – per finalizzare il processo di modifica del piano. Tutto questo, ovviamente, se la delibera di rimodulazione del piano di rientro per accedere ai benefici del SalvaCatania è, oggi, pronta. O quantomeno in dirittura d’arrivo. Ma così non è. E, in passato, perché lo fosse ci sono voluti mesi.