«Si è avuto paura a cercare la verità»: il figlio del procuratore ucciso in via Cavour rilancia la polemica con parte della magistratura che, a suo dire, avrebbe dovuto cercare con maggiore determinazione le cause e le responsabilità dell'agguato
La memoria del magistrato Costa a 38 anni da omicidio di mafia Orlando: «Morì anche per l’isolamento che ebbe alla procura»
«Si è avuto paura a cercare la verità». A 38 anni di distanza dall’omicidio del padre Gaetano Costa il figlio Michele ricorda con queste parole il procuratore ucciso dalla mafia il 06 agosto del 1980. E rilancia la polemica con quella parte della magistratura che, a suo giudizio, avrebbe dovuto approfondire con maggiore determinazione le cause e le responsabilità dell’agguato. L’occasione per riaprire una vecchia ferita è la commemorazione davanti alla lapide che, nella centralissima via Cavour, ne ricorda l’omicidio. Michele Costa non è il solo ad esercitare una memoria critica.
«Gaetano Costa morì anche per l’isolamento che ne caratterizzò l’esperienza alla Procura di Palermo – ha aggiunto il sindaco Leoluca Orlando – in anni bui in cui anche nella magistratura alcuni preferivano il quieto vivere se non la colpevole connivenza. Anni in cui chi, come Costa e poi Chinnici, voleva indagare la zona grigia dei legami fra mafia, politica e affari, veniva inesorabilmente additato. Costa fu per tutta la vita e ben prima di essere un ottimo magistrato, un militante per la giustizia e la libertà e a 38 anni dalla sua morte, ricordando che nessuno ha pagato per quel crimine, continuare a cercare giustizia è un atto dovuto, ai suoi cari prima di tutto, ma anche a Palermo e ai tanti martiri della lotta per la liberazione dalla mafia».
Per il figlio Michele l’eliminazione del padre ha tutti i caratteri di un «omicidio strategico». «Ci siamo battuti all’inverosimile – continua – ma la memoria di mio padre è stata cancellata. Mio padre lo ha scritto prima di morire. Esiste per questi delitti una precisa esigenza: che si sappia qual è la scaturigine, la causa, ma non si sappia mai perché. Mio padre è rimasto a Palermo solo due anni, e dunque sarebbe stato quasi facile individuare i colpevoli. Il vecchio procuratore generale di Caltanissetta (Sergio Lari, ndr) mi ha quasi insultato perché avevo ipotizzato, peraltro con garbo, che si avesse paura a scoprire la verità. Perché è proprio la verità a fare paura nei delitti di mafia».