Di origini biellesi, ha lasciato Milano per aprire uno spazio espositivo all'interno di palazzo Raffadali Speciale, in pieno centro storico. «Credo che uno dei problemi sia la chiusura mentale. Invece, penso che qui ci sia molto e spero di poter restare per dare un contributo alla crescita artistica della città»
Ma cu tu fici fari, ecco la Palermo vista dagli altri Vittorio, il primo gallerista emigrato da Nord a Sud
Un giovane gallerista di origini biellesi, ma cresciuto professionalmente a Milano. Ha scelto Palermo per costruire il suo primo progetto lavorativo. Una galleria che possa anche essere uno spazio di lavoro e creatività condivisa tra artisti locali e non, uno posto dove scambiare idee creative e far nascere connessioni tra mondi diversi sotto il segno dell’arte. Spazio Speciale si trova all’interno delle cavallerizze di palazzo Raffadali Speciale in pieno centro storico, ed è un luogo davvero interessante. Inutilizzato da più di 15 anni è oggi fruibile grazie al lavoro di Ignazio Mortillaro, Luca Cutrufelli e Vittorio Rappa. Uno spazio che si arricchisce delle tante opere e istallazioni di artisti locali e non, in uno scambio creativo continuo tra la Sicilia, l’Italia e l’estero.
«L’idea di venire a Palermo è nata due o tre anni fa – racconta Vittorio -, quando ho saputo che Palermo sarebbe diventata capitale della cultura e avrebbe ospitato Manifesta ho subito pensato che creare uno spazio qui sarebbe stato fantastico. Penso di essere il primo giovane gallerista emigrato dal nord al sud. Inizialmente avevo pensato ad un progetto diverso, più grande. Poi grazie alle connessioni con alcuni amici, volti noti del mondo dell’arte palermitano, è nato lo spazio dove siamo adesso». Inaugurato il 15 maggio, il feedback dei palermitani è già molto positivo. «Tutti quelli che sono venuti sono rimasti sorpresi perché non conoscevano questo spazio – prosegue – Magari conoscevano il palazzo, che è una sede importante per la storia della città, ma non questa parte bassa che una volta era occupata dalle stalle».
Complice Manifesta in città è tutto un susseguirsi di opening di nuovi spazi espositivi, gallerie, aperitivi, vernissage e vino pessimo. Ma cosa succederà dopo questo periodo di fulgido splendore? «Nessuno può sapere cosa accadrà dopo – risponde Vittorio – io spero davvero di restare perché questa città la trovo splendida e perché mi ha consentito di avviare il mio primo progetto da gallerista a costi molto diversi di quelli che avrei avuto a Milano. Poi qui credo ci sia ancora spazio per operazioni di questo tipo. A me piace pensare che Manifesta sia come un germoglio che una volta esaurito l’anno di attività possa aver creato le condizioni giuste per dare una spinta alla città e al settore artistico e culturale locale. In questo momento in tanti stanno venendo ad istallare qui delle gallerie pop up o progetti diversi, non tutti rimarranno ma magari rimarranno delle ottime connessioni».
Vittorio di mestiere fa il gallerista, ma sa bene quanto in questo mondo siano fondamentali le relazioni, e le buone frequentazioni e conoscenze, Palermo non sembra deluderlo nemmeno da questo punto di vista. «Penso che qui sia più facile fare pubbliche relazioni – dice – forse perché è una città più piccola o forse solo perché ci sono ancora pochi addetti al settore, pochi galleristi o perché le persone sono più aperte al nuovo. Io mi sono sentito accolto bene nel tessuto artistico palermitano. Trovo ci siano artisti molto validi e che l’ambiente sia in generale molto stimolante e ho trovato un tessuto relazionale fertile e ricettivo. Ad esempio l’altro giorno sono stato invitato ad un aperitivo dove ho potuto incontrare un ambasciatore brasiliano, magari a Milano nessuno mi avrebbe mai offerto una simile occasione».
Eppure una nota stonata in questa storia di emigrazione inversa, passione, buona volontà e un pizzico di follia c’è. Ed è il noto pessimismo che connota a volte questa città: «Amo le persone di questa città, amo il calore della gente – premette – ma mi è capitato di confrontarmi anche con persone non esattamente positive e che hanno espresso parecchi dubbi sul fatto che abbia voluto impiantare qui questo tipo di progetto. Credo che uno dei problemi della città sia la chiusura mentale della gente, non tutti per fortuna anzi penso siano una minoranza. Però più volte parlando del mio progetto mi sono sentito dire frasi come ‘ma perché non restavi a Milano? Cosa vieni a fare qui? Qui non c’è niente!’ Invece io credo che qui ci sia molto e spero di poter restare per poter dare un contributo alla crescita artistica della città».