Un peccato originale da non fare venire a galla. Secondo i pm di Caltanissetta, è per questo che l'imprenditore che ha scalato Confindustria ha costruito nel tempo una rete di potere parallela. Per colpire chiunque gli fosse ostile, che veniva «tacciato di mafiosità». Determinanti i pentiti e i documenti trovati in una stanza segreta. Ecco tutti i 22 indagati
Montante: dossier, poliziotti e finanzieri a libro paga Sistema per nascondere vecchi rapporti con la mafia
Una carriera costruita sulla corruzione e sulla falsità. Funzionari di polizia e della Guardia di finanza a libro paga, testimoni indirizzati per screditare nemici e accusatori. Il tutto per nascondere quanto più possibile il suo peccato originale: la frequentazione con i boss del suo paese di origine, Serradifalco. Le accuse che la Procura di Caltanissetta rivolge ad Antonello Montante, ex numero uno di Confindustria Sicilia e tuttora con importanti incarichi a livello nazionale nell’associazione, sono pesantissime. E ricostruiscono un quadro che va ben oltre le ipotesi di reato contestate all’industriale. Montante è ai domiciliari e deve rispondere di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro la pubblica amministrazione – quali la corruzione e la rivelazione di segreto d’ufficio – e all’accesso abusivo a un sistema informatico. Ma i magistrati nisseni ritengono accertati i rapporti con i boss Paolo e Vincenzo Arnone, entrambi uomini d’onore al vertice della famiglia di Serradifalco e testimoni di nozze di Montante. Relazione di cui per primo parlò il giornale I siciliani giovani con un articolo dell’aprile 2014. Oggi la Dda sottolinea che non bastano quei rapporti per «affermare, in modo processualmente spendibile, la configurabilità del reato di concorso esterno in associazione mafiosa ipotizzato a carico dell’indagato». «La vicinanza – ha precisato il procuratore capo Amedeo Bertone, che ha coordinato le indagini insieme all’aggiunto Gabriele Paci e ai sostituti Stefano Luciani e Maurizio Bonaccorso – non significa automaticamente la configurazione del reato di concorso in associazione mafiosa».
Determinanti per riallacciare i fili che collegano l’imprenditore agli Arnone sono stati i pentiti. In particolare uno, Dario Di Francesco. Non uno qualunque, ma stretto collaboratore degli Arnone, e poi reggente della famiglia di Serradifalco, proprio dopo l’arresto di Vincenzo Arnone. È la sua collaborazione, iniziata nel 2014, con informazioni acquisite in maniera diretta, a dare forza agli approfondimenti degli inquirenti. Prima di lui, altri tre collaboratori di giustizia avevano riferito dei rapporti di Montante con esponenti di Cosa nostra. Ma erano sempre informazioni de relato, acquisite in via indiretta. Dell’industriale nisseno avevano parlato Carmelo Barbieri, Pietro Riggio e Aldo Riggi. E ancora, successivamente, Salvatore Ferraro e Ciro Vara.
Per impedire che queste accuse venissero a galla, Montante avrebbe costruito nel corso del tempo un sistema di potere parallelo, grazie a una fitta di rete di contatti nelle istituzioni. Assunzioni in cambio di favori, sotto forma di informazioni riservate di cui l’imprenditore sarebbe venuto a conoscenza ancora in fase di indagini segrete, o ancora sotto forma di dossieraggi per rendere inattendibile chi lo accusava. Per queste finalità avrebbero operato, ad esempio, gli altri sei indagati di cui la procura ha fornito i nomi: cinque agli arresti domiciliari e uno colpito dalla misura interdittiva di sospensione dal servizio.
Si tratta di tre agenti della polizia di Stato: Giuseppe D’Agata, capocentro della Dia di Palermo poi trasferito ai servizi segreti; Diego Di Simone Perricone, ex sostituto commissario della squadra mobile di Palermo, attualmente security manager di Confindustria Nazionale; Marco De Angelis, sostituto commissario prima alla questura di Palermo, ora in servizio alla prefettura di Milano. Insieme a loro, Ettore Orfanello, ex comandante del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza a Caltanissetta. Non è stato arrestato, ma è sospeso dal servizio per un anno, Giuseppe Graceffa, vice sovrintendente della polizia in servizio a Palermo. Ai domiciliari pure Massimo Romano, imprenditore dei supermercati che gestisce la catena Mizzica-Carrefour Sicilia, con oltre 80 punti vendita nella Regione. Molto amico di Montante, aveva già ricevuto un avviso di garanzia dagli investigatori di Caltanissetta proprio nell’indagine sull’ex numero uno di Confindustria.
Nell’inchiesta vi sarebbe anche 22 indagati, non raggiunti da alcuni provvedimento, accusati di aver fatto parte della catena delle fughe di notizie. Tra di loro l’ex presidente del Senato Renato Schifani; l’ex generale Arturo Esposito, ex direttore del servizio segreto civile (Aisi); Andrea Cavacece, capo reparto dell’Aisi; Andrea Grassi, ex dirigente della prima divisione del Servizio centrale operativo della polizia.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, la linea legalitaria imposta da Montante (d’accordo con Ivan Lo Bello) in Confindustria Sicilia sarebbe stata una copertura. «Il vessillo della legalità, di cui si era fatto propugnatore e paladino – sottolinea la Dda – serviva in realtà a occultare i rapporti che egli aveva in passato certamente intessuto e coltivato con esponenti di spicco della criminalità organizzata». Conclusioni a cui i magistrati nisseni giungono grazie anche alla collaborazione di due imprenditori, un tempo molto vicini a Montante: l’ex assessore regionale Marco Venturi e l’ex presidente dell’Irsap Alfonso Cicero, entrambi oggetto di pesanti attacchi da parte dello stesso Montante. Quest’ultimo avrebbe ispirato «una continua, spregiudicata attività di dossieraggio, raccogliendo abusivamente informazioni riservate sul conto dei suoi nemici, anche solo potenziali, al fine di impedire che gli antichi legami intessuti con i boss mafiosi potessero in qualche modo tornare a galla, o al solo fine di screditare persone comunque a lui invise o in grado di contrastare i suoi interessi».
Il destino di chi si è opposto a Montante sarebbe stato quello di essere «tacciato di mafiosità o di non meglio precisate collusioni con un sistema di potere che – precisano i magistrati – si voleva ormai dissolto e, a parole, definitivamente superato, in particolare caratterizzato da collusioni tra imprenditori, politici ed esponenti mafiosi, al cui interno poter ricomprendere, di volta in volta e in maniera indiscriminata, tutti coloro che non si adeguavano al nuovo corso».
La documentazione riservata sarebbe servita a neutralizzare possibili future accuse e sarebbe stata nascosta in una stanza segreta, trovata dagli agenti della squadra mobile di Caltanissetta, al piano seminterrato di casa dell’imprenditore, nascosta dietro una finta parete a libreria e protetta da una porta blindata. Qui sono stati trovati molti faldoni e, in un computer, un file Excel, recuperato dai tecnici nel cestino, in cui era annotato, con precisione certosina, di tutto: «Incontri e appuntamenti, telefonate e messaggi di testo (inviati e ricevuti) da soggetti appartenenti a ogni contesto, prevalentemente istituzionale, nonché la registrazione di conversazioni intrattenute con terzi, effettuate personalmente o tramite di soggetti di fiducia, e documentazione attestante vari favori richiesti a Montante (che egli aveva in parte esaudito) nel corso del tempo». In particolare gli investigatori, grazie alle intercettazioni a cui hanno sottoposto numerosi soggetti, hanno ricostruito i tentativi di depistare le indagini, esercitando pressioni sulle persone informate dei fatti che avrebbero dovuto essere sentite dalla polizia.
Per Di Simone Perricone, De Angelis e Graceffa è scattata l’accusa di accesso abusivo ad un sistema informatico, rivelazione di segreto d’ufficio, e corruzione per atti contrari ai doveri del proprio ufficio. D’Agata deve rispondere di corruzione per atto contrario ai doveri del proprio ufficio e rivelazione di segreti d’ufficio; Orfanello corruzione per atti contrari ai doveri del proprio ufficio; Romano corruzione per atti contrari ai doveri del proprio ufficio in concorso con Orfanello e corruzione.
Grazie a loro Montante avrebbe avuto un canale diretto per accedere alle banche dati delle forze dell’ordine, arrivando a conoscere notizie sensibili sulla vita privata di moltissime persone a lui ostili. Ma avrebbe anche indirizzato le indagini della Guardia di finanza e saputo in anticipo le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
I nomi di tutti gli indagati:
Antonio Calogero Montante, 55 anni
Gianfranco Ardizzone, 60 anni
Maurizio Bernava, 59 anni
Andrea Calì, 40 anni
Salvatore Calì, 53 anni
Andrea Cavacece, 58 anni
Angelo Cuva, 58 anni
Giuseppe D’Agata, 58 anni
Marco De Angelis, 55 anni
Diego Di Simone Perricone, 47 anni
Arturo Esposito, 69 anni
Alessandro Ferrara, 63 anni
Salvatore Graceffa, 52 anni
Andrea Grassi, 52 anni
Carlo La Rotonda, 39 anni
Salvatore Mauro, 48 anni
Vincenzo Mistretta, 63 anni
Ettore Orfanello, 55 anni
Massimo Romano, 55 anni
Letterio Romeo, 49 anni
Mario Sanfilippo, 58 anni
Renato Schifani, 68 anni