«A morte il tiranno Messina Denaro». È questa la scritta rossa che Angelo Greco, ritenuto uomo d’onore di Campobello di Mazara vicinissimo al boss latitante, a gennaio 2013 decise di cancellare da un muro. Il giorno dopo, invece, provò a risalire ai responsabili dell'affronto. Per punirli, secondo i magistrati della Dda di Palermo
L’impegno per eliminare murales contro Messina Denaro «Non si deve vedere». Poi le indagini sul presunto autore
Nel territorio di Matteo Messina Denaro, di lui parlano anche i muri. «A morte il tiranno Messina Denaro». È questa la scritta di colore rosso acceso che era apparsa su un muro giallo paglierino di una cabina dell’Enel, di fianco a una porta arrugginita, in via Tre Fontane a Campobello di Mazara in provincia di Trapani. È il 14 gennaio del 2013 quando due dei fiancheggiatori del superlatitante, che si erano già accorti del murales, armati di bombolette spray provvedono a coprirlo per tutelare l’immagine dell’indiscusso «cuore pulsante» dell’organizzazione mafiosa trapanese. Il giorno dopo, il clan avvia un’indagine per scoprire chi ha mancato di rispetto al boss lasciando quel messaggio sul muro.
La solerzia di Angelo Greco, ritenuto uomo d’onore di Campobello vicinissimo al boss latitante e arrestato nel corso dell’operazione antimafia Anno Zero, è testimoniata da una intercettazione dei carabinieri del Ros. «Se suono, ti nascondi», dice Greco al suo collaboratore ed esecutore materiale del gesto. Lui, che ne è l’ispiratore e il regista, osserva la scena rimanendo in macchina parcheggiato non molto distante, pronto ad avvisarlo suonando il clacson nel caso fossero giunte presenze indesiderate. «Non si deve vedere, un altro po’ però, compà! Lo vedi? Si vede!». Dopo altro rumore di bomboletta spray che viene scossa: «Non si vede più niente! Non si capisce più». In realtà, sotto la vernice fresca rossa che tenta di coprire la scritta si leggono ancora chiaramente a occhio nudo le lettere a stampatello dello stesso colore e la firma «C.L.C.».
L’episodio, per i magistrati della Dda di Palermo che hanno coordinato l’inchiesta, è il segno di una fedeltà al latitante ma anche della volontà di mantenere saldo il controllo del territorio da parte di Cosa nostra. E il compito di Greco non si è limitato alla cancellazione della scritta. La mattina successiva, Greco va al cimitero. È qui che viene intercettata un’altra conversazione durante la quale chiede a un addetto all’area cimiteriale chi possa essere l’autore di quel «gesto vigliacco». Gli investigatori ipotizzano possa essere il primo passo per l’organizzazione di un intervento punitivo nei confronti del responsabile. Nel dialogo, nessun riferimento però viene fatto al superlatitante, Greco parla invece di una scritta «dietro la matrice» contro un certo «padre Pietro». L’uomo non è in grado di fornire alcuna informazione e i due fanno dei nomi che restano, però, soltanto delle ipotesi. Fra queste, quella che la sigla in calce fosse l’acronimo per «Comitato di Liberazione Continua».