In una Lettera aperta al Rettore si ricostruiscono le tappe che hanno portato l'Ateneo - accampando pretestuose motivazioni - a sfrattare Step1 e Upress dall'aula 24, a poche settimane di distanza dalla chiusura di Radio Zammù - La redazione: Sette anni e mai un inchino
I Suoi silenzi, le nostre parole
Magnifico Rettore,
con amarezza, ma senza alcuna sorpresa, abbiamo appreso della decisione dell’Ateneo di sbarrare la porta dell’aula 24, da sempre sede della redazione di Step1 e, fino a poche settimane fa, di Radio Zammù. Non è questo il luogo per commentare le motivazioni addotte dal Direttore amministrativo dell’Università di Catania per spiegare la chiusura dell’aula: esse, del resto, si commentano da sole. Più importante ci sembra ricostruire pubblicamente l’atteggiamento che in questi anni i vertici dell’Ateneo, per Sua volontà, hanno tenuto nei confronti delle esperienze di giornalismo universitario nate dentro l’Ateneo stesso. Sta qui infatti, come ognuno può facilmente vedere, il motivo sottaciuto ma evidente di ciò che in questi mesi sta accadendo. A Upress, a Radio Zammù, a Step1. Ma anche a molti altri.
La testata giornalistica Step1 è stata fondata nel 2004, su iniziativa del giornalista Enrico Escher, allora docente a contratto nella nostra università. Essa è stata pensata come un modello avanzato di formazione universitaria al giornalismo: una formazione realizzata sul campo, praticando l’informazione secondo principi deontologici di indipendenza e di libertà. I risultati di questa palestra di giornalismo possono misurarsi da dati oggettivi. Le produzioni di Step1 hanno ricevuto prestigiosi premi e menzioni in contesti di rilevanza nazionale (Festival del Giornalismo di Perugia, Premio Ischia ecc). Analoghi riconoscimenti nazionali sono stati ottenuti da Radio Zammù, l’ultimo proprio mentre i ragazzi della radio si preparavano a lasciare l’aula 24. Numerosi studenti – per limitarsi alla formazione in senso stretto – sono stati iscritti, grazie a Step1 e a Radio Zammù, all’albo dei giornalisti pubblicisti. Alcuni di essi sono stati anche ammessi a selettive scuole post-laurea che danno l’accesso al titolo di giornalista professionista. E l’elenco potrebbe continuare.
A supporto di questa feconda esperienza, alla fine del 2008 la Facoltà di Lingue propose un bando pubblico per affiancare agli studenti-redattori, con un contratto part-time, un giornalista professionista, per sviluppare ulteriormente, con un modestissimo investimento, il modello di una formazione moderna e innovativa, costruita sul campo dell’informazione indipendente grazie agli spazi aperti dai nuovi media. Quel bando fu bloccato per scelta dei vertici dell’Ateneo. Da tali vertici venne invece la proposta che l’intera attività giornalistica di Step1 venisse sistematicamente sottoposta al visto dell’ufficio stampa d’Ateneo. Una proposta che andava nella direzione opposta a quella da noi percorsa.
Si aprì allora, sulle pagine di Step1, un pubblico dibattito su cosa si debba intendere per “giornalismo universitario”. Diversi docenti di questo e di altri Atenei – in contrasto evidente con la Sua idea di un’informazione in livrea – intervennero per spiegare che il giornalismo universitario non può essere in alcun modo assimilato alla comunicazione istituzionale, che non si può insegnare il mestiere di giornalista prescindendo dai principi deontologici che, di questo mestiere, costituiscono l’anima. Non una voce si levò, da Lei o dal mondo accademico a Lei vicino, a difesa della Sua particolare visione dell’informazione. Al pubblico dibattito da noi avviato, Lei ha solo opposto un silenzio sordo e privo di argomenti.
La questione Step1, negli stessi mesi, fu anche sottoposta a una commissione di senatori accademici di Sua nomina. Anche tale commissione, presieduta dal prof. Vincenzo Di Cataldo, preside della Facoltà di Giurisprudenza, escluse categoricamente l’idea di sottoporre la testata giornalistica all’ufficio stampa di Ateneo. A questa sconfessione della Sua visione, che avrebbe dovuto preludere al concreto avvio di iniziative a sostegno del progetto Step1, Lei continuò tuttavia a opporre la medesima sordità e il medesimo silenzio.
Frattanto, nella primavera del 2009, era arrivato il momento dell’elezione del Rettore. In quel contesto di pubblico confronto Lei giudicò più conveniente dichiarare che anche una voce indipendente, come quella di Step1, andava salvaguardata. Nel discorso immediatamente successivo alla Sua rielezione Lei giunse a ringraziare Radio Zammù e Step1, dichiarando che le due testate erano “risorse da proteggere”.
Su Sua iniziativa, al principio dell’estate 2009, fu convocata in Rettorato una riunione di tutti i docenti responsabili dell’attività di Radio Zammù e di Step1 e fu Lei stesso a suggerire che, in difetto di disponibilità economiche dell’Ateneo, la proprietà di Step1 venisse trasferita a un’associazione di studenti e docenti dell’Ateneo, in modo da poter garantire la massima autonomia editoriale e risorse aggiuntive provenienti da entrate pubblicitarie e dall’apporto di altre Istituzioni.
Nel 2009 fu costituita l’Associazione “Upress CTA onlus”. Tra i suoi obiettivi c’era quello di rilevare la titolarità della testata. Ciò avrebbe sollevato l’Università di Catania dal ruolo di editore, impossibile da esercitare ove – per scelta o per necessità – non si intenda investire un quattrino nell’attività editoriale e di formazione al giornalismo. Al tempo stesso, ciò avrebbe troncato i timori – che venivano talora manifestati – circa eventuali rischi legali per l’Ateneo qualora Step1 fosse stato oggetto di qualche querela. La Facoltà di Lingue ha dichiarato la sua disponibilità a cedere a Upress la testata Step1. Ma tale decisione non ha mai ricevuto il via libera dai vertici d’Ateneo. Anche stavolta, ovviamente, non una sola parola è stata spesa per motivare il diniego.
Nel frattempo, l’associazione Upress ha richiesto alla Facoltà l’uso dell’aula 24 per l’esercizio delle proprie attività sociali. Tale richiesta è stata accolta dalla Facoltà di Lingue ma – prima ancora che la relativa convenzione potesse essere formalizzata – i vertici d’Ateneo, con inconsueta sollecitudine, si sono attivati per impedire che ciò avvenisse, disponendo l’immediata chiusura dell’aula stessa. Poiché l’atto obbligava, per una volta, a far ricorso a qualche parola, si è scelto di adottare un moderno surrogato del latinorum di don Abbondio. Si è scelto il lessico polveroso della burocrazia, si sono scomodate norme di sicurezza che – a quanto pare – varrebbero solo per l’aula 24 e non per tutti gli altri locali dell’Università. Nelle comunicazioni scritte relative alla vicenda sono sempre state omesse le parole “Step1” e “Upress”: il nome della redazione che anima quell’aula da quasi sette anni e quello dell’associazione nata per sostenere i media universitari supplendo alle mancanze dell’Ateneo. Certi silenzi, a volte, significano più delle parole.
Il filo che lega i fatti sopra elencati non è difficile da seguire. C’è un Rettore che non accetta l’esistenza di qualsivoglia spazio di dibattito libero e indipendente dentro l’Università; non accetta spazi indipendenti di informazione, in cui possano trovare voce anche coloro che esprimono critica o dissenso; non accetta che l’Università promuova un modello di formazione al giornalismo che sappia guardare oltre le angustie e le clientele del panorama editoriale cittadino. Ciò che non si accetta è, forse, la stessa idea che l’Università sia un insieme plurale di voci – universitas, appunto – piuttosto che un bene di cui il Rettore possa disporre come di cosa propria. Che essa sia luogo di scambio, di discussione anche aspra, ma finalizzata a un obiettivo comune: l’avanzamento della conoscenza. Se questo è il punto, la vicenda dell’aula 24 non concerne semplicemente Step1 e Upress, ma investe – così come altre vicende che si stanno sviluppando in questi mesi – la sostanza della vita accademica. Più precisamente, la sostanza della sua democrazia.
Dire che siamo di fronte a un modello autoritario, però, non esaurisce a nostro avviso il problema. Ci pare anzi – se teniamo d’occhio le vicende che più da vicino ci riguardano – di essere di fronte, anzitutto, a una visione ristretta, provinciale e culturalmente miope dell’Università (oltre che dell’informazione). Non riusciamo a non pensarlo, di fronte a un’amministrazione che sa argomentare le proprie decisioni soltanto con il silenzio o con scuse risibili.
E tuttavia, Magnifico Rettore, se ci sarà un silenzio che Lei potrà continuare a godersi, questo silenzio sarà soltanto il Suo. Non certo il nostro. Lei potrà metterci alla porta dell’aula 24, se così ha deciso di fare. Ma non potrà toglierci la parola, né potrà impedire che questa sia usata per dar voce all’universitas. La quale, che Le piaccia o no, non s’identifica con la Sua Persona.
Non è comunque dei Suoi silenzi che importa adesso parlare. Né dello stile con cui Lei ha in questi giorni saputo manifestarci la Sua attenzione. Tutto ciò appartiene alla Sua responsabilità, nell’alto compito di legale rappresentante dell’Ateneo e di garante del rispetto della libertà di ricerca e di insegnamento. Noi di Upress ce ne assumiamo un’altra: quella di stare a fianco di ogni iniziativa di informazione che dia spazio agli studenti, ai docenti, al personale, alle forze culturalmente vive di questa università. Di supportare chi continuerà a parlare liberamente di essa come di un pezzo della città, e della città come di un pezzo del mondo. Di dar voce a chi non accetta che questa comunità si rinchiuda nel ristretto orizzonte in cui viene ogni giorno di più trascinata. Ci assumiamo questa responsabilità, assieme a quella di non essere mai riverenti con nessuno. Proprio come ci ha insegnato il prof. Enrico Escher.
*Presidente di Upress