Comune di Camastra sciolto per ingerenze mafiose Dall’inchiesta Vultur le ombre sul sindaco Cascià

Il Consiglio dei ministri ha deciso lo scioglimento del consiglio comunale di Camastra, Comune in provincia di Agrigento. La delibera è arrivata oggi pomeriggio, su proposta del ministro dell’Interno Marco Minniti, «in ragione delle riscontrate ingerenze da parte della criminalità organizzata». 

La commissione prefettizia chiamata a valutare l’infiltrazione mafiosa nelle attività dell’amministrazione guidata dal sindaco Angelo Cascià, si era insediata la scorsa estate. A farne parte sono stati la viceprefetta Elisa Vaccaro, il vicecapo della squadra mobile Vincenzo Di Piazza e il comandante del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Agrigento Fabio Sava

Camastra è da tempo soggetto alle pressioni di Cosa nostra e Stidda, con le due realtà mafiose che, negli anni, hanno alternato periodi di scontri ad altri di convivenza. In particolare al centro delle verifiche è finito il clan guidato da Rosario Meli, arrestato a luglio nell’operazione Vultur insieme al figlio e ad altre tre persone. In diversi passaggi di quell’inchiesta, i sodali del capomafia esplicitano su quale candidato puntare per le elezioni del 2013, quelle che hanno visto proprio l’elezione di Cascià. E sarebbe proprio lui il candidato scelto da Meli. 

Una tesi che gli inquirenti poggiano su alcuni elementi, a cominciare dal fatto che Lillo Piombo – vicino a Meli e titolare di una tabaccheria a Camastra ritenuta il centro delle attività del clan – avrebbe dichiarato di sostenere Cascià, per rispetto nei confronti del capomafia. All’attenzione della commissione prefettizia sarebbe finita anche la vicenda legata all’impresa funebre riconducibile ai Meli, già presente nell’operazione Vultur. E in particolare sulla scelta del Comune di non effettuare alcuna segnalazione alla prefettura in merito a questa attività. Le pressioni sulle elezioni si sarebbero manifestate infine sotto forma di minacce a due candidati della lista che sosteneva l’avversario di Cascià, Gaetano Provenzani. I due hanno raccontato, nel corso del processo che si sta svolgendo nell’aula bunker del carcere di Petrusa, di avere ricevuto minacce da Giuseppe Meli, terzogenito del capomafia. «Ci sconsigliò di candidarci, ci fece capire che avremmo potuto avere problemi e in qualche modo ci disse che non avremmo dovuto portare i voti al candidato sindaco Gaetano Provenzani», hanno detto. Giuseppe Meli è stato arrestato sei mesi dopo l’operazione e oggi deve rispondere di detenzione di arma clandestina e ricettazione.

Ex bancario oggi in pensione, Cascià è tornato alla guida del Comune nel 2013. Dopo una prima esperienza iniziata nel 2003 e la riconferma sfumata cinque anni dopo per appena 16 voti. «La mia storia parla per me – ha dichiarato a MeridioNews poco dopo l’insediamento della commissione prefettizia – non ho mai cercato appoggi di questo tipo. È una vicenda che mi ha dato dispiacere, ho quasi 70 anni e non si impazzisce così di colpo».


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