Dalla giornata di ieri il centrodestra ha portato a casa il voto favorevole al Defr e al prolungamento dell'esercizio provvisorio. Parlare di successo, però, sembra eccessivo. All'orizzonte potrebbero esserci nuovi tracolli. Per questo sembra inevitabile coinvolgere le minoranze, che dal canto loro non cederanno di certo a costo zero
Musumeci e la maggioranza che scricchiola all’Ars Possibili aiuti da opposizioni, ma a quali condizioni?
La zoppia non è ancora cronica, ma la necessità di cercare le stampelle rimane. La due giorni d’Aula necessaria a dare il via libera al documento di economia e finanza regionale (Defr) ha rilanciato gli interrogativi sulla stabilità della coalizione che sostiene il governo Musumeci. D’altronde già dalla ripartizione dei seggi dopo il voto – quell’unico deputato in più a favore del centrodestra, virtualmente svanito con il passaggio di Cateno De Luca dall’Udc al gruppo misto – si era capito che per il centrodestra la vita all’interno dell’Ars non sarebbe stata serena.
E a riprova del momento particolarmente delicato sono arrivate le parole del presidente della Regione, che negli ultimi giorni ha più volte alternato gli appelli alla responsabilità delle opposizioni agli avvertimenti – «non sarò ostaggio di nessuno» – in merito alla possibilità di dovere trattare, «dietro le quinte», con singoli deputati ai quali chiedere il sostegno necessario per andare avanti. Ma se di stampelle ufficialmente Musumeci non vuole sentire parlare, sarà inevitabile aprire al dialogo con i partiti usciti sconfitti dalle Regionali. «Aprile sarà il mese del confronto aperto e leale con tutto il parlamento su ciò che sarà necessario correggere, integrare e modificare», ha ammesso in serata il governatore, dopo avere incassato il benestare sia sul Defr che sull’estensione dell’esercizio provvisorio fino ad aprile.
Ma a quali porte potrà bussare il presidente confidando di trovare accoglienza? La prima opzione, non ancora ufficializzata, ma sotto gli occhi di tutti è Sicilia Futura. Il partito dell’ex ministro Totò Cardinale, che all’Ars è rappresentato da Nicola D’Agostino ed Edy Tamajo, dall’inizio della legislatura ha più volte dato l’impressione di essere potenzialmente il più sensibile alle sirene della maggioranza. Rimanendo «nel solco», per usare un’espressione che ricorre spesso nella narrazione del partito, di un possibile ripensamento. In tal senso, ieri, sia D’Agostino che Tamajo hanno deciso di astenersi al momento del pronunciamento sul Defr, mentre hanno votato a favore della proroga all’esercizio provvisorio. «Abbiamo risposto all’invito alla collaborazione fatto da Musumeci alle opposizioni – ha commentato a caldo D’Agostino a MeridioNews -. Per quanto riguarda l’esercizio provvisorio si è trattato di una questione tecnica». Per fare sì che la collaborazione abbia un seguito ci sarà bisogno però che Musumeci vada oltre gli appelli. «Ci aspettiamo di essere chiamati per sederci insieme a un tavolo e parlare di scelte politiche precise – ha continuato D’Agostino -. Al momento, per esempio, non è chiaro quali siano i punti su cui il presidente vuole trovare una convergenza con le opposizioni».
In casa Partito democratico, almeno sulla carta, la disponibilità a un’apertura nei confronti della coalizione di governo non è all’ordine del giorno. Almeno non ufficialmente. Tuttavia qualcuno, all’uscita di Palazzo dei Normanni, ha fatto notare la scelta di non partecipare al voto sul Defr da parte del dem Giovanni Cafeo. Una decisione che, di fatto, ha abbassato la maggioranza necessaria a 32 voti e agevolato la vita del centrodestra, che dal canto suo è riuscito a toccare quota 33. «Nessun favore, semplicemente non mi sono accorto che si stava per votare e mi sono allontanato», ha assicurato il diretto interessato al telefono. Tuttavia, a taccuino chiuso, tra i democratici c’è chi non esclude che qualcuno possa al momento opportuno offrire la propria spalla al governo. Magari su questioni specifiche e senza bisogno di lasciare il gruppo d’appartenenza. Più che fare nomi, l’invito è quello di dare uno sguardo al registro delle ultime presenze all’Ars – anche se c’è chi non manca di fare notare che «sta girando un virus che ha messo ko esponenti di ogni partito» – e alle scelte tenute da alcuni nei pochi momenti topici fin qui vissuti. Come, per esempio, l’elezione a presidente dell’Ars di Gianfranco Miccichè.
A essere tirati in ballo sono persino i cinquestelle. Nonostante Cancelleri e soci abbiano ribadito più volte di non volere fare sconti a nessuno – «mai voteremo un atto preparato da altri», assicurano -, dagli avversari c’è chi lancia la provocazione e si chiede se il gruppo dei riconfermati, undici su venti, non possa essere interessato a mantenere in vita il governo Musumeci ben consapevole che i regolamenti del partito prevedono un limite massimo di due mandati elettorali. «Non ci facciamo questi problemi, fare il parlamentare non è la priorità di nessuno e si può sempre tornare a fare il lavoro che si faceva», taglia corto una deputata di ritorno dall’Ars.
Tutto questo per quanto riguarda le opposizioni e il lavoro che Musumeci dovrà tentare di fare, per evitare che tra un mese il governo possa di nuovo traballare quando si dovrà votare la legge di stabilità. Ma da qui ad allora, non è detto che le cose rimangano ferme neanche tra le file del centrodestra. È di due giorni fa la decisione della deputata Margherita La Rocca Ruvolo di annunciare le dimissioni da capogruppo dell’Udc. Una scelta che la diretta interessata ha preferito non motivare, ma che secondo i bene informati sarebbe scaturita dalla volontà di mandare un messaggio alla giunta. E, nello specifico, all’assessore alle Attività produttive Mimmo Turano, iscritto proprio al gruppo del partito di Cesa e additato dai colleghi di non avere inciso a sufficienza nella stesura del Defr in materia di misure per la piccola e media imprenditoria. Ogni discorso comunque è rinviato a dopo le feste. Sperando che anche per il governo Musumeci la passione duri non più di una settimana.