Il racconto del freelance che lo scorso lunedì ha visto i propri scatti in apertura del più prestigioso giornale al mondo. Con un reportage sul Teatro più celebre della sua città natale, che conosce bene. «Ogni volta scopri un dettaglio nuovo. Ho fatto tutto in un paio di ore. Stare a contatto coi ballerini è stata pura poesia»
Foto di Cipriano al Massimo in prima pagina sul Times «Momento di riscatto per la città, torno appena posso»
«Proprio in questi giorni ricorrono dieci anni dalla mia prima pubblicazione col New York Times. Era il marzo 2008, avevo appena 25 anni e consegnai un reportage sul quartiere ebraico. A distanza di tanto tempo avere una prima pagina, e stavolta col Teatro Massimo, mi ha scatenato qualcosa di potente, un filo di orgoglio e di riscatto, sia personale che per la città. Un bel modo di celebrare l’anniversario». Gianni Cipriano è il fotografo freelance che lo scorso lunedì ha visto i propri scatti conquistarsi lo spazio più prestigioso del più prestigioso giornale a livello mondiale. Con un lungo articolo, a firma del giornalista Rod Nordland, che ripercorre la storia del teatro più celebre della città.
Una collaborazione, quella tra il fotografo nato proprio a Palermo e il quotidiano newyorkese, che è ormai duratura. Questa volta con delle foto sul teatro Massimo, uno dei simboli della città natale. Che effetto fa per un fotografo lavorare per luoghi che conosce e a se cari? «Anche se collaboro da dieci anni, ogni volta che mi chiamano non do per scontato di lavorare per loro – si schernisce Cipriano – Ci sono un sacco di freelance bravi in giro e nel mio caso è vero che c’è un rapporto di fiducia ma sono comunque felicissimo ogni volta che mi chiamano. Quando mi hanno chiesto di andare a Palermo e di fotografare le prove del don Chisciotte ero felicissimo, ci speravo da anni. Come teatri d’opera in Italia sono celebri il San Carlo di Napoli, la Scala di Milano e la Fenice di Venezia, ma il Massimo non aveva l’attenzione che secondo me si meritava. Avevo pochissimo tempo, c’era la prova generale, ho fatto tutto un paio di ore. Il fatto che ci ero già stato in passato mi ha aiutato a pre-visualizzare quello che sarei andato a fare».
Il lavoro del Times ripercorre non solo la storia del Teatro ma anche le novità degli ultimi anni: l’apertura alla città, il costo contenuto dei suoi biglietti («una rarità fra i grandi teatri d’Opera, che ne fa un teatro per tutti e non per i pochi»), il coinvolgimento dei giovani e dei migranti, l’incontro con le periferie, la nuova dimensione internazionale. Per un fotografo che gira il mondo come Cipriano, l’articolo è stata un’occasione per scoprire qualche novità? «Fammi pensare – dice -: io il Massimo lo conosco abbastanza bene, era la terza o quarta volta che ci andavo. E’ anche vero che ogni volta scopri un dettaglio nuovo. La differenza rispetto alle altre volte è che per la prima volta assistevo a un balletto, c’è stato un contatto più stretto coi ballerini, e per me ha significato pura poesia. Ti viene quasi facile fotografare, talmente le situazioni erano esteticamente ben predisposte. Ovviamente ci devi mettere il tuo, ma mi ha aiutato la grazia dei ballerini, i loro abiti, il loro modo di muoversi. Poi tutti simpaticissimi, tutta gente per bene e nessuno con la puzza sotto il naso, mi ha colpito la loro umiltà».
Non tutto però è andato per il verso giusto. A certificarlo è un aneddoto svelato dallo stesso fotografo: a prima vista curioso e un po’ paradossale, ma che lo stesso Cipriano non esita a definire “drammatico”: «Stavo scattando delle foto in esterni (i turisti, i ragazzi che si siedono sulle scale) e mentre ero lì è arrivato un gruppo di giapponesi, che mi ha chiesto di fargli una foto. Una signora del gruppo mi chiede se era quella la scalinata del Padrino III, e io ho pensato “madonna, questa cosa non ce la toglieremo mai di dosso”. ‘Sta cosa l’ho trovata paradossale: mentre io ero lì a fotografare un pezzo bellissimo di città, coi prezzi dei biglietti ridotti e tutte le belle novità, la gente continuava a farsi il selfie per cose passate. Ovunque sono stato, in giro per il mondo, mi sono sempre portato dietro mio malgrado l’associazione tra la mafia e la Sicilia».
La Capitale della Cultura insomma ne deve ancora fare di passi in avanti per scrollarsi definitivamente di torno stereotipi ed etichette negative. Anche se l’aria che si respira è innegabilmente già ora diversa. «Credo che questo sia un bellissimo momento per Palermo, anche di riscatto – dice il fotografo -. Almeno questa è la mia percezione. Io ci sono nato ma sono cresciuto all’estero fino a 15 anni, poi ho vissuto a Torretta fino a 24 anni, frequentavo la città da adolescente e ci ho fatto l’università. Palermo l’ho vissuta bene tra il 2010 e il 2015, da tre anni non la vivo più nel quotidiano. Ora la osservo e torno ogni volta che posso, però se ci fosse una città dove potrei scegliere di vivere Palermo sarebbe al primo posto. E’ anche vero però che quando sento degli amici che non se ne sono andati c’è sempre qualcosa che li frena, chi ci sta vive meglio certi problemi e probabilmente ha una percezione meno romantica della mia».
Al termine dell’intervista con Cipriano c’è spazio anche per parlare di politica italiana. In Italia infatti il freelance palermitano è noto anche per le sue copertine per L’Espresso, con i suoi scatti a immortalare i retroscena del potere: «Sono impegnato da cinque anni a questa parte con il mio lavoro sulla politica italiana. Sto aspettando che si formi il nuovo governo. Speriamo che non vada a finire come la Germania – sorride – e vediamo anche se il nuovo governo dura. Anche in Italia stiamo vivendo un momento storico e politico molto significativo. C’è chi parla di Terza Repubblica, personalmente di sicuro ho avuto la fortuna di avvicinarmi a questo mondo proprio mentre la politica italiana si sta trasformando e il mio progetto vorrebbe raccontare questa particolare fase di transizione. Al momento è questo il mio progetto più importante: spero di poterlo finire presto, e spero che possa diventare un libro».