Omicidio Falsomiele, sul banco periti delle parti «Non posso dire che siano stati loro a sparare»

«Possibile l’ipotesi delle contaminazioni». Questo quanto emerge dalla testimonianza della dottoressa Rosanna Abbruzzo, specializzata in chimica clinica forense e scelta come perito tecnico dalla difesa di Adele Velardo, imputata insieme al marito Carlo Gregoli – morto suicida in carcere – per il duplice omicidio di Vincenzo Bontà e Giuseppe Vela avvenuto il 3 marzo 2016 in via Falsomiele. Sentita dopo l’esame del dottor Romeo, nominato invece dall’accusa, la dottoressa ha confermato numerosi passaggi della relazione finale del collega sull’analisi dei residui di sparo rinvenuti sulla Toyota Cruiser dei due coniugi e sugli indumenti a loro sequestrati. Ma è molto chiara quando precisa che esiste la reale possibilità che possano esserci state delle contaminazioni. «In linea generale concordo con le dichiarazioni del perito Romeo», dice subito, e aggiunge dopo: «Non mi risulta, però, che gli operatori eseguirono le analisi di bianco su di sé».

Si tratta di un esame fondamentale per escludere eventuali contaminazioni, anche involontarie, sui reperti raccolti; consiste nell’effettuare campioni di controllo (il cosiddetto bianco di riferimento) in zone del reperto lontane da quelle interessate dal deposito dei residui dello sparo. Analisi, queste, eseguito successivamente invece dai tecnici del Ris di Messina. «Ero a conoscenza del fatto che il signor Gregoli fosse un cacciatore e che l’auto in questione era stata usata anche per la caccia, ero stata informata dai familiari – spiega l’esperta -. Lo stub si sarebbe dovuto fare entro quattro-cinque ore dello stesso giorno su viso, mani e braccia di entrambi gli imputati». Mistero, poi, per uno degli indumenti repertati: un paio di jeans attribuiti a Gregoli, ma che secondo l’esperto nominata dalla difesa potevano essere più plausibilmente un capo femminile, per la presenza di strass e brillantini attaccati sopra.

Le particelle analizzate, precisa ancora la dottoressa Abbruzzo, sono impercettibili e si trasferiscono per via aerea: «Sono allo stato solido, ma non si vedono a occhio nudo – chiarisce -. Hanno la composizione di un’arma di lancio generica, non tipica per armi da caccia o meno, non si può stabilire dalla forma che assumono la loro provenienza. I risultati non ci consentono di dire che qualcuno degli interessati abbia sparato il colpo». E poi ci sono fattori come quello della caccia: «Se qualcuno ha in casa armi da caccia che hanno sparato da poco questo è un fattore che può influire, c’è un tempo di latenza che trattiene i residui. Sarebbe stato utile fare un confronto delle particelle sul sospettato e sulla sua arma», continua a dire la teste.

Infine, emerge che anche un soggetto che non abbia mai avuto contatti con armi da fuoco, qualora entrasse in un ambiente contaminato, in automatico si contaminerebbe lui stesso, «le particelle sono volatili e si trasferiscono». Le particelle repertate, quindi, potevano essere antecedenti al giorno del delitto? «Sì, è possibile – risponde la dottoressa Abbruzzo -. Gli indumenti hanno un rischio di contaminazione e di trasferimento più elevato, rispetto a un’automobile, dove le superfici lisce possono trattenere di più le particelle» Proprio all’interno dell’auto ci sono quindi maggiori possibilità che le tracce siano precedenti all’omicidio per via della questione caccia legata a Gregoli; molto dipende anche dalle condizioni del veicolo, da come viene trattato, da quante persone viene utilizzato, dalla frequenza con cui viene lavato. E per la Cruiser dei due imputati non risulta ai periti alcuna documentazione su lavaggi recenti. Il mese prossimo sul banco dei testimoni sarà la volta del capo della Mobile di Palermo, Rodolfo Ruperti e di Adele Velardo.


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