La onlus che si occupa di assistenza e tutela ai migranti segnala che nel palermitano aumentano i centri mentre diminuiscono i migranti, ma «la Regione continua a firmare autorizzazioni per l'apertura di comunità». Mentre gli operatori sono frustrati e «inconsapevoli di quali siano esattamente le loro mansioni»
Accoglienza in difficoltà, la denuncia di Borderline Sicilia «Pagamenti fermi da gennaio, i lavoratori sono spremuti»
Aumentano i centri di prima e seconda accoglienza, mentre gli arrivi di migranti (rifugiati e richiedenti asilo) diminuiscono. Mentre d’altra ci sono «comunità costrette a chiudere perché le istituzioni non pagano da tempo. Per fare soltanto un esempio, la prefettura di Palermo è ferma a gennaio 2017 con i pagamenti». Nella denuncia di Borderline Sicilia il mondo dell’accoglienza nel capoluogo siciliano non se la passa molto bene. Nonostante per il settore siano previsti oltre 100 milioni di euro per i prossimi anni.
«Gli ultimi dati sui minori – scrive ancora la Onlus – sono impietosi e dimostrano ancora una volta una percentuale altissima di irreperibili, ossia minori di cui si sono perse le tracce e che saranno sicuramente finiti nelle maglie di sfruttatori e trafficanti, i quali godono delle politiche disumane e delle prassi illegittime messe in campo dalle istituzioni. In tale quadro si inserisce la politica regionale dell’accoglienza ai minori che purtroppo è fallimentare. La Regione continua a firmare autorizzazioni per l’apertura di comunità di prima o seconda accoglienza, senza avere reale contezza del contesto in cui vengono aperte. Ci sono paesi in cui il numero di minori è altissimo e non sono presenti i servizi basilari come la scuola, la sanità e i servizi sociali. È sufficiente che una comunità abbia un locale a disposizione, anche disperso in montagna, per ricevere le autorizzazioni».
Una denuncia, quella dei centri di accoglienza nel palermitano lontano dalle città e dai paesi, che anche Meridionews aveva raccontato. Ora Borderline Sicilia aggiunge un ulteriore elemento, di frustrazione non solo per chi ci vive ma anche per chi ci lavora: «Quando monitoriamo i centri, incontriamo spesso operatori inconsapevoli di quali siano esattamente le loro mansioni, che lavorano con contratti privi di tutele, sottopagati e sfruttati a loro volta. Operatori che vengono assunti per fare gli educatori ma poi fanno tutt’altro. Giovani neolaureati che le cooperative possono spremere all’osso, giovani a cui togliamo anche la passione per il lavoro e per il prossimo. Giovani costretti a lasciare il lavoro per non finire in terapia a causa delle angherie che devono subire dai datori di lavoro. Dinamiche ben note alle istituzioni, ai sindacati e alle organizzazioni umanitarie che hanno la possibilità di interagire con i migranti e con gli operatori, ma che non vengono scardinate per sostenere quella che, per pochi, è la più che florida industria della migrazione».