Si è svolto alla presenza di poco più di una decina di studenti lincontro organizzato da Addio Pizzo sul tema Estorsione, dal parcheggiatore abusivo al mafioso. Si è discusso delle conseguenze positive concrete per il mercato e per i cittadini della lotta a pizzo e criminalità organizzata. Ma basta solo prospettare "un ritorno" personale per convincere i siciliani a cambiare mentalità?
Denunciare conviene (a tutti)
“Siamo bravi a rispolverare i nostri sentimenti di antimafia nelle grandi contestazioni di piazza, o quando c’è da commemorare Falcone e Borsellino. Agli incontri come questo, che dovrebbero interessare tutti i cittadini, partecipano solo quei ragazzi che hanno bisogno di crediti universitari”. È con questa parole di delusione che si è aperto il dibattito organizzato dal Comitato Addio Pizzo Catania sul tema “Estorsione, dal parcheggiatore abusivo al mafioso”, introdotto da uno dei volontari dell’associazione.
Al Coro di notte del Monastero dei Benedettini, infatti, sono intervenuti appena una decina di studenti universitari. Ma i ragazzi del Comitato non si sono demoralizzati e hanno dato inizio alla discussione, passando subito la parola al primo dei due ospiti. Francesco Testa, Sostituto Procuratore della DDA di Catania, spiega come la realtà dei parcheggiatori abusivi sia solo uno spunto per analizzare i caratteri del fenomeno estorsivo. Racconta che negli anni ’90, la strategia adottata dalla criminalità organizzata era quella della tensione e che i commercianti versavano ai loro estorsori una somma mensile proporzionata ai loro ricavi. “Nei primi anni del 2000 – afferma – quando ho intrapreso il lavoro di magistrato, ero certo che la situazione sarebbe cambiata. Grandi imprese del nord e gruppi europei si stavano insediando al sud e credevo che non sarebbero mai scesi a patti con la criminalità organizzata. È inutile dire che le mie aspettative sono state disattese”.
Testa continua affermando che “il fenomeno estorsivo oggi è mutato. Sono i grandi imprenditori a cercare un contatto con le associazioni mafiose perché queste gli consentano di insediarsi, tanto che il loro rapporto è diventato amicale. Non si fa cassa riscuotendo le somme porta a porta, ma si cercano altri canali”. La mafia chiede in cambio posti di lavoro all’interno dell’impresa o chiede che sugli scaffali dei loro supermercati vengano piazzati solo i prodotti delle aziende che proteggono. “Vi siete chiesti perché al mercato del pesce di Catania i prezzi sono di poco inferiori rispetto a quelli di Roma e Milano?” – domanda Testa ai presenti. Immediatamente arriva la risposta: “Dove ci sono infiltrazioni mafiose, l’equilibrio tra domanda e offerta viene alterato e dove c’è un monopolio, in questo caso quello mafioso, i prezzi sono più alti perché paghiamo una tassa alla criminalità organizzata”.
“E perché dunque non dovremmo scendere a patti con gli estorsori? – chiede provocatoriamente ancora Testa al gruppetto di studenti – Per ragioni etiche o religiose? No. Perché conviene. Ristabilire le leggi della concorrenza nel libero mercato, operare nella legalità, permette di creare risorse”.
“Voglio cambiare questa terra, odio gli indifferenti” afferma Claudio Risicato, presidente dell’Associazione Antiusura e Antiracket Pedemontana Rocco Chinnici, intervenuto all’incontro. “Gli altri imprenditori – continua – mi dicono che non denunciano perché è inutile, perché non c’è la certezza della pena e i criminali dopo qualche mese te li ritrovi a passeggiare di fronte al tuo negozio, quindi non possono rischiare”. Risicato racconta la sua esperienza di imprenditore coraggioso. Ha una piccola impresa che produce materiale para-farmaceutico nella provincia di Catania ed è orgoglioso di non scendere a compromessi. Ribadisce, però, che reagire conviene, anche perché un giorno proprio gli stessi estorsori ti chiederanno di più.
A queste parole, il Sostituto Procuratore si accorge che chi scrive scuote la testa e m’invita a intervenire. L’atmosfera è simile a quella descritta da Gino Paoli in una sua canzone: sembriamo quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo. L’incontro assume i toni di una conversazione aperta e dico la mia. Dico che non possiamo continuare a pretendere leggi dall’alto, chiedere più risorse, più forze di polizia, quando nulla si muove dal basso. Siamo davvero così disperati da spiegare agli studenti che è necessario scegliere la via della legalità perché conviene? A me non conviene dare ogni giorno 2 euro e 40 centesimi al Comune di Catania per posteggiare la mia macchina sulle strisce blu. Mi converrebbe piuttosto accontentare il parcheggiatore abusivo che c’è davanti alla mia Facoltà con 50 centesimi. “Anche quello del comune è un furto, mi dicono i miei colleghi, il parcheggiatore abusivo è un poveraccio”. Sarebbe troppo confidare nel nostro senso civico, nel nostro senso della legalità? La logica della convenienza conduce solo al clientelismo e all’ormai tristemente noto voto di scambio. Sarà per questo che l’altro giorno ho detto ad un parcheggiatore “questa strada non è tua”. In modo istintivo e infantile, come un bambina a cui rubano la palla. Una ragazza mi risponde che con l’idealismo non si va da nessuna parte, che occorre fare i conti con la realtà per cambiare le cose, non fare gli eroi.
Francesco Testa puntualizza immediatamente che “denunciare conviene non per un vantaggio personale, per ottenere la tutela dello Stato, per poter lavorare serenamente, senza la minaccia delle pretese degli estorsori, ma per riprendersi una società democratica e ristabilire un mercato libero“.
Forse è vero che sono troppo idealista. Del resto, una sentenza della Corte di Cassazione dello scorso aprile ha spiegato che i parcheggiatori abusivi compiono un “lavoro di grande utilità sociale”. Non ci avevo mai pensato.