Anche a Catania, come nel resto d'Italia, si protesta contro la "Gelmini". Ieri studenti, docenti, ricercatori e personale tecnico-amministrativo hanno raggiunto in corteo il rettorato per sensibilizzare la città sui problemi legati ai tagli all'istruzione: dalla chiusura della facoltà di Lingue alla riduzione dei fondi destinati ai docenti non strutturati- Ricercatori: stop alle lezioni?
Assemblea generale d’Ateneo
Un nutrito corteo, circa un migliaio di studenti, si è mosso alle 10.20 da piazza Dante verso il Rettorato. Preceduti e seguiti da polizia e carabinieri, gli studenti sono passati per via Plebiscito e via Sant’Euplio costeggiando Villa Bellini. Arrivati in via Etnea, si sono diretti verso piazza Università intonando accesi slogan contro il Rettore Antonino Recca, in sostegno della facoltà di Lingue (a rischio la sede catanese) e della protesta dei ricercatori precari. Al grido «Lingue a Catania, Recca a Ragusa» gli studenti – gran parte dei quali provenienti dalle scuole superiori del catanese – hanno occupato simbolicamente la città. Il traffico ha subito rallentamenti, scatenando le prevedibili lamentele dagli automobilisti.
«Papi, ho scordato le chiavi. Apri» hanno urlato gli studenti una volta arrivati in piazza Università, rivolgendosi ironicamente al Rettore. Poi il corteo ha invaso il cortile del rettorato per sostenere simbolicamente i ricercatori precari e non riunitisi in assemblea.
Loredana Monaco, studentessa della facoltà di Lingue (corso in Scienze per la comunicazione internazionale) è stata una delle più attive sostenitrici della mobilitazione, incitando costantemente i colleghi: «Il corteo di oggi è partito per sostenere la causa della facoltà Lingue e dell’intero Ateneo catanese» afferma. «Diciamo no ai tagli al personale e alla vendita della Facoltà. Noi studenti abbiamo il diritto allo studio e a rimanere qui». Sul futuro del suo corso di laurea è decisa: «Io mi sono iscritta in Lingue e quello che voglio è una laurea in Lingue. Voglio che rimangano i lettori, i ricercatori e tutto il personale tecnico-amministrativo che ho sempre avuto accanto a me in questi anni».
Dall’interno del palazzo centrale, poco prima di riunirsi in assemblea, i ricercatori spiegano le ragioni della protesta nazionale iniziata in corso in queste ore. «Oggi siamo qui per parlare dello stato giuridico dei ricercatori – afferma Maria Grazia Nicolosi, docente di Letteratura inglese a Lingue – Svolgiamo attività didattica come docenti di prima e seconda fascia, ma questo ruolo non ci viene riconosciuto a livello giuridico, né sul piano contributivo né su quello istituzionale. Grazie alla nuova legge non avremo nemmeno il diritto di votare per eleggere il rettore e questo è un enorme passo indietro». Diversa la situazione dei ricercatori confermati: «Quelli che hanno vinto un regolare concorso e che sono stati confermati da una giuria di pari hanno meno chance di fare carriera rispetto ai ricercatori a tempo determinato. Questi ultimi costano meno allo Stato, ma costituiscono una classe di precariato a oltranza». Riferendosi anche alla sua esperienza personale di ricercatrice strutturata, la docente descrive una situazione che definisce gravissima: «Noi che, se lo meritiamo, abbiamo il diritto di avanzare nella nostra carriera – spiega – in realtà veniamo messi a esaurimento e siamo scavalcati invece da coloro che hanno un contratto triennale. Questo significa guerra tra poveri e scadimento della qualità. La maggior parte delle facoltà, specialmente quelle dinamiche come Lingue, hanno un bisogno vitale di noi ricercatori. Soprattutto perché costituiamo i due terzi dell’intero corpo docente e siamo anche più giovani e più energici». Secondo la Nicolosi, l’iniziativa di oggi ha «lo scopo di farsi vedere. Abbiamo in programma di bloccare la didattica nel prossimo anno accademico. Non per provocazione, ma per dimostrare nei fatti che se noi ricercatori incrociamo le braccia le facoltà non possono lavorare».
Antonio Las Casas, assegnista di ricerca in Diritto privato della facoltà di Giurisprudenza, parla della sua condizione di ricercatore non strutturato, quindi precario. «Siamo penalizzati dai tagli che ci tagliano le gambe e rendono pessime le prospettive di sviluppo e sopravvivenza delle università. La nostra precarietà non viene minimamente tenuta in considerazione dalla legge Gelmini in corso di approvazione che – tra l’altro – sancisce per legge la nostra condizione di precariato e non ci offre nessuna opportunità di realizzazione personale». Come chiarisce Las Casas quella di oggi è «un’assemblea generale d’Ateneo che si sta svolgendo in tutta Italia e a cui sono invitati a partecipare tutte le componenti dell’università: in prima fila gli studenti, ma anche i ricercatori strutturati e non e i docenti. Vogliamo porre l’attenzione sul fatto che l’università pubblica è una risorsa per questo Paese e che senza ricerca e conoscenza non si va da nessuna parte».