Giacomo Giacalone, il 28enne comandante della nave Anna Madre, racconta l'aggressione subita ieri nel Canale di Sicilia, in acque internazionali. «Il nostro è un lavoro duro. Ed è diventato anche molto pericoloso. Per fortuna stiamo tutti bene. Nessuno è ferito. E l'intervento della Marina militare è stato risolutivo»
Mazara, il peschereccio attaccato a colpi di mitraglia «Siamo scappati, dopo un’ora è arrivata la Marina»
«Alle 19 si è avvicinata la motovedetta tunisina in alto mare. Due persone a prua hanno cominciato a spararci contro a mitraglia. Siamo scappati chi in ghiacciaia, chi in sala macchine». Ad appena 28 anni Giacomo Giacalone comanda, da già nove anni, il peschereccio Anna Madre, di stanza a Mazara del Vallo, attaccato ieri nel Canale di Sicilia, in acque internazionali. L’imbarcazione era uscita due giorni fa dal porto di Mazara per una battuta di pesca di triglie, dentici e calamari che durerà una quarantina di giorni. Ogni tre, quattro giorni Giacalone fa rientrare la nave a Lampedusa per depositare il pescato e poi ripartire.
Ieri, mentre stavano pescando in acque internazionali, hanno vissuto momenti di grande paura. «Siamo rimasti in balia dei tunisini per circa un’ora – racconta -. Non ci siamo fermati. Loro continuavano a sparare. Dopo un’ora si è avvicinata la nave della marina militare da cui è partito l’elicottero che ci ha salvato. È la prima volta che sparano contro la mia imbarcazione – aggiunge -. Ma altre volte ci hanno inseguito. A bordo siamo dieci persone, tre italiani e sette tunisini. Il nostro è un lavoro duro. Ed è diventato anche molto pericoloso. Per fortuna stiamo tutti bene. Nessuno è ferito. E l’intervento della Marina militare è stato risolutivo». L’Anna Madre si trova ora a 18 miglia a sud di Lampedusa dove dovrebbe giungere domani mattina. Dall’isola l’equipaggio ripartirà per continuare la battuta di pesca.
Il presidente del Distretto della pesca e crescita blu, Giovanni Tumbiolo, fa il bilancio delle difficoltà incontrate dalla marineria di Mazara del Vallo negli ultimi decenni. «La cosiddetta guerra del pesce – spiega – oggi conta tre morti e 27 feriti colpiti dal fuoco di militari o miliziani di Paesi rivieraschi. Inoltre, sono stati oltre 300 i pescatori fatti prigionieri e detenuti negli anni nelle carceri dei Paesi nordafricani: Libia, Tunisia, Egitto e Algeria. Pesanti sono anche gli oneri pagati per il riscatto degli oltre 150 pescherecci sequestrati, dei quali sei definitivamente confiscati. Si tratta di un danno economico – conclude – oltre che sociale, che gli esperti dell’Osservatorio della pesca del Mediterraneo hanno calcolato in più di 90 milioni di euro. Chi risarcirà e quando questo enorme danno che rischia di soffocare la prima marineria del Mediterraneo?».