Sulla salma della piccola, sotto sequestro, pende la richiesta d'autopsia del magistrato. L'indagine è partita dalla denuncia della familiari, assistiti dall'avvocato Giuseppe Incardona, secondo cui i ritardi nelle cure sarebbero stati fatali alla bimba di dieci mesi
Ospedale Garibaldi, per morte Cloe 17 indagati Per la famiglia «imperizia» da parte dei medici
Fasi emergenziali che sarebbero state gestite con «imprudenza e imperizia», tanto da condurre alla morte di Cloe, una bimba di dieci mesi, lo scorso 17 luglio, all’ospedale Garibaldi Nesima di Catania. Partono da qui le indagini che coinvolgono ben 17 medici in forza al nosocomio etneo, accusati di omicidio colposo. Adesso, sulla salma della piccola che è stata posta sotto sequestro, pende la richiesta d’autopsia del magistrato titolare delle indagini. A compierla sarà il collegio medico che verrà nominato dal giudice per le indagini preliminari. Tutto ha preso il via dalla denuncia della famiglia, assistita dal legale palermitano Giuseppe Incardona. La tesi avanzata è che i ritardi nella gestione del caso e, soprattutto, nella calendarizzazione dell’intervento che occorreva, siano stati fatali per la bimba, rimasta in coma per quattro mesi prima di morire.
«La bambina è stata ricoverata a febbraio per quella che si è poi rivelata essere un’invaginazione – spiega l’avvocato a MeridioNews – la diagnosi era giusta così come la prima fase di trattamenti farmacologici sarebbe stata eseguita correttamente». Ma la patologia di cui soffriva Cloe, un grave disturbo intestinale assimilabile ad un’occlusione, avrebbe poi reso necessaria la chirurgia. «A quel punto le cose si sono complicate – prosegue Incardona – e l’intervento, inizialmente programmato per l’otto marzo, è slittato perché è stata data precedenza a un altro caso». La bambina è entrata in coma e, anche dopo l’intervento eseguito ventiquattro ore dopo, non si è più risvegliata finendo per spegnersi a luglio.
«Verosimilmente è stato il momento dopo la fissazione dell’intervento a non essere stato gestito al meglio, la bambina andava condotta in un centro specializzato in Austria o in Belgio, come spesso accade in questi casi – chiarisce il legale – ma anche la gestione dell’emergenza dopo il ricovero è stata segnata dall’imperizia, la bambina è entrata in ipossia restando poi in arresto cardiocircolatorio per un certo lasso di tempo». Sarebbero dunque 17 i sanitari che avrebbero delle responsabilità riguardo il triste epilogo della vicenda. Le verifiche dell’accusa comunque proseguono per capire se ancora altre persone possano avere avuto un ruolo nei fatti. «Vogliamo verificare se anche altri medici e personale paramedico siano implicati», conclude Giuseppe Incardona.