Un dossier realizzato da ricercatori di Ispra e del ministero dell’Ambiente certifica il collegamento tra le morti dei cetacei e l'uso delle reti a strascico nei mari attorno all'Isola. Anche se negli ultimi anni, spiego uno dei ricercatori, «sia la capacità di pesca che gli spiaggiamenti sono diminuiti»
Lo studio sulle balene e i delfini spiaggiati in Sicilia «Più morti nei distretti dove operano pescherecci»
Lo spiaggiamento dei cetacei che ogni anno trovano la morte arenandosi lungo le coste siciliane è dovuto a cause naturali solo in minima parte. Nella maggioranza dei casi, infatti, a provocare il decesso di delfini e balenottere sono gli strumenti che l’uomo utilizza nella pesca industriale. Le reti causano mutilazioni o gravi ferite ai mammiferi marini che popolano le nostre acque, condannandoli alla morte.
È quanto emerge da uno studio realizzato da ricercatori di Ispra e del Ministero dell’Ambiente e finanziato dalla Regione per l’Osservatorio della Biodiversità. La ricerca ha infatti individuato la correlazione tra pesca intensiva e spiaggiamento dei cetacei. In particolare, sono stati monitorate otto specie: dai delfini Stenella e Torsiope alla balenottera azzurra che sverna nei mari siciliani.
«Serviva un indicatore a livello europeo – spiega Roberto Crosti, uno degli autori della ricerca – per associare agli spiaggiamenti dei cetacei la minaccia della pesca industriale. La flotta siciliana, infatti, è la più grande in Italia e utilizza principalmente reti a strascico, a circuizione e palangari. Si tratta di strumenti pericolosi per i cetacei che, attirati dai pesci intrappolati, rimangono feriti o mutilati fino a morire. Abbiamo dunque preso in esame 48 distretti siciliani, soffermandoci ad analizzare le aree che contano una maggiore presenza della pesca industriale. Successivamente abbiamo confrontato i dati sugli spiaggiamenti degli ultimi 18 anni, scoprendo che le morti erano più numerose in prossimità delle marinerie dove operano i pescherecci».
Ma il trend risulta in diminuzione. «Dal 1995 al 2012 – precisa Crosti – la capacità di pesca in Sicilia è nettamente in calo e contemporaneamente abbiamo registrato una diminuzione di cetacei spiaggiati. Un dato che evidenzia la bontà della nostra tesi. Purtroppo non sono state ancora individuate alternative valide a salvaguardare l’economia di una regione senza danneggiare l’ecosistema. È noto, infatti, che la pesca intensiva distrugge la biodiversità dei nostri mari, sarebbe forse opportuno prendere esempio dalla Cina che negli ultimi anni ha creato due enormi riserve naturali rigidamente controllate».