Quasi la metà degli operai antincendio in servizio nel corpo forestale, in realtà, non potrebbero lavorare. Ma, in alcuni casi, scelgono di farlo lo stesso. «Per i ritardi della Regione, non hanno potuto fare la visita medica di idoneità - spiega il sindacalista Alfio Mannino - e vanno in prima linea lo stesso». E questo non è l'unico problema
Incendi sull’Etna, i lavoratori bloccati tra le fiamme «Forestali e pompieri eroi, ma senza mezzi adeguati»
Possono usare solo la metà dei mezzi, perché gli altri non hanno ancora ricevuto la manutenzione ordinaria e straordinaria di cui hanno bisogno. E sono poco più del 50 per cento gli operai forestali etnei che hanno potuto effettuare la visita medica di idoneità al servizio, perché – per via dei ritardi nello stanziamento dei fondi da parte della Regione Sicilia – le convenzioni non sono state stipulate in tempi adeguati all’inizio della stagione dei roghi. E nel frattempo l’area metropolitana di Catania brucia. Sull’Etna sono letteralmente andati in fumo circa 150 ettari di boschi: 30 dei quali tra Nicolosi e Belpasso. «Mio marito era lì a lavoro con altre cinque persone. Abbiamo una ditta che lavora artigianalmente la pietra lavica, nel territorio del Comune di Nicolosi – racconta una donna che preferisce rimanere anonima – I soccorsi sono stati chiamati subito e subito sono arrivati i forestali, ma il problema erano i mezzi».
L’azienda in questione, assieme ad alcune altre dello stesso genere, si trova a circa un chilometro e mezzo dai Monti Rossi. Uno dei focolai sarebbe stato appiccato a circa cinquecento metri di distanza in linea d’aria. «Erano sterpaglie e si è propagato immediatamente – continua – Arrivando a lambire il monte molto boscoso che confina con la nostra proprietà. Ci ha salvati un’antica colata che ha fatto da taglia-fuoco, mentre pompieri eccezionali con mezzi ridotti al lumicino spegnevano il fuoco». I primi ad arrivare sul posto sono stati gli uomini della guardia forestale, che hanno cominciato a lavorare sull’incendio. Poi il canadair con le cisterne d’acqua, che però è stato dirottato su Patti (in provincia di Messina), dove le fiamme sono arrivate a lambire alcune abitazioni. «All’inizio c’erano solo i forestali, i pompieri sono arrivati dopo circa tre quarti d’ora». I mezzi e gli uomini, del resto, sono quelli che sono. E ogni estate la normalità diventa emergenza. «Nel frattempo altri due focolai, uno più in alto e un altro più sotto dall’altro lato, hanno circondato la zona». Erano circa le 14 e suo marito e gli altri lavoratori della zona si sono ritrovati accerchiati. Il fuoco era tutto intorno: una via di fuga c’era, ma non si potevano abbandonare le imprese.
«Hanno tentato di mettere in sicurezza i mezzi e sono rimasti a sorvegliare i cantieri. Quella è l’unica fonte del nostro sostentamento. Sono andati via intorno alle 20.30, non lo avrebbero fatto se ci fosse stato ancora pericolo per le aziende – prosegue la donna – Se fosse successo qualcosa, io, mio marito e mio figlio saremmo rimasti sotto un ponte». In casi come questo, quando per fortuna non ci va di mezzo la vita, rischiano di rimanere compromesse «ditte costruite con venti, trent’anni di sacrifici. Con la crisi dell’edilizia che c’è in Sicilia, per noi sarebbe stata la rovina». Le forze dell’ordine sono state chiare sin dall’inizio: la matrice delle fiamme è dolosa. E lo confermano di nuovo, a due giorni di distanza. Pure chi quella zona la conosce perché ci lavora non ha dubbi: «È tutto troppo calcolato. Si è scelto il giorno più caldo, ma ventoso – sostiene la cittadina – È vero che ci sono sterpaglie, ma anche tante ginestre verdi. Poi il monte Sona era bosco… Un sacrilegio». Stamattina tutto attorno «c’erano ancora fumo e puzza». Ma, soprattutto, «una desolazione straziante». «Lo ripeto: la professionalità dei pompieri e dei forestali ha evitato il peggio, però». Però senza attrezzature adeguate i rischi si moltiplicano. Non solo per chi vive sul territorio, ma anche per chi lavora in condizioni precarie.
«La campagna antincendio è cominciata molto, ma molto dopo rispetto a quando avrebbe dovuto», dichiara Alfio Mannino, segretario regionale della Flai Cgil, che si occupa del settore forestale. Lui non lo nasconde: a Catania, Messina e Palermo c’è la situazione peggiore dal punto di vista degli strumenti. Perché a Trapani e Agrigento è rimasto qualcosa, in termini di fondi, dalla stagione passata. In quelle altre tre province, invece, non è avanzato nulla e la Regione Siciliana ha disposto gli stanziamenti economici troppo in là nel tempo. «Hanno ritardato per fare le gare dell’assicurazione e quelle della manutenzione. Nel Catanese ci sono due veicoli senza il bocchettone per le pompe dell’acqua – aggiunge – È cambiato il direttore del servizio, che non aveva contezza della situazione. Questi problemi amministrativi non modificano il problema di fondo: la stagione inizia il 15 giugno e siamo arrivati impreparati». A mancare è anche la convenzione con i medici competenti. «A Catania già oltre il 50 per cento dei lavoratori sono riusciti a farla. Il problema è più pressante su scala regionale». Ciò non toglie, però, che si stia parlando della metà dei lavoratori antincendio che non dovrebbero entrare in servizio. Il condizionale in questo caso è d’obbligo. «Anche senza visita medica stanno lavorando – afferma Mannino – Non si potrebbe fare, ma non si sono sottratti di fronte alla situazione emergenziale che si è venuta a creare».