La portavoce dell'agenzia europea, Izabella Cooper, parla a MeridioNews dei principali argomenti al centro del dibattito sulla gestione dei flussi migratori. Dall'ipotesi del blocco navale ipotizzato in questi giorni dal governo per sollecitare un intervento maggiore da parte dell'Ue alle pratiche di identificazione negli hotspot
Frontex sulle operazioni della guardia costiera libica «Armi anche contro di noi per riprendersi i barconi»
«Operiamo sotto il coordinamento del ministero degli Interni e della guardia costiera, le decisioni spettano a loro». Mentre cresce il dibattito sull’ipotesi di una chiusura dei porti, nel caso in cui l’Unione europea non dovesse impegnarsi maggiormente nella gestione dei flussi migratori provenienti dal Nordafrica che vedono l’Italia in prima linea, l’agenzia europea Frontex sottolinea come il proprio compito sia di sostegno alle attività dei singoli Paesi, senza entrare nel merito delle scelte.
«Ogni attività è concordata con il Viminale – spiega a MeridioNews la portavoce Izabella Cooper -. Con il ministero decidiamo la distribuzione dei nostri mezzi nell’area che monitoriamo per conto dell’Italia, che va dalla Tunisia fino all’Albania. Il nostro principale lavoro riguarda il controllo delle frontiere ma anche il contrasto del crimine transfrontaliero, compreso il rischio terrorismo e l’individuazione di foreign fighters». A proposito di Tunisia, nelle scorse settimane la procura di Palermo, con l’operazione Scorpion Fish, ha acceso la luce sul canale clandestino creato tra il paese nordafricano e Marsala, con viaggi veloci che potrebbero favorire l’ingresso di terroristi in Italia, anche se a riguardo i dubbi sono parecchi. «Non possiamo commentare le indagini della magistratura ma posso dire che è un’area che monitoriamo con molta attenzione», taglia corto Cooper.
In questi giorni, Frontex sta pattugliando il Mediterraneo centrale. «Per le operazioni di search and rescue (Sar) il nostro punto di riferimento è la centrale operativa di Roma della guardia costiera», sottolinea la portavoce. Specificando che l’aiuto che l’agenzia dà avviene anche oltre il territorio previsto dall’operazione Triton. «Se il caso lo necessita, cioè se la guardia costiera ci dice di dirigerci in acque internazionali, lo facciamo indipendentemente dal fatto che si trattai di un’area non coperta dalla missione europea». La risposta sembra una replica a distanza alle critiche di chi ritiene che, con il passaggio da Mare Nostrum a Triton, l’impegno delle navi istituzionali si sia ridotto mettendo maggiormente a rischio la vita dei migranti e portando anche all’aumento dell’attività delle Ong che, invece, si spingono a ridosso delle acque territoriali libiche. Sulle attività delle organizzazioni non governative e le polemiche sorte per i presunti, e finora non provati, rapporti con i trafficanti, Cooper preferisce non aggiungere nulla. «Non siamo interessati a rilanciare il dibattito, tante cose sono state travisate. Quello che posso dire – afferma – è che non abbiamo mai accusato esplicitamente le Ong, anche perché non spetta a noi indagare».
Un altro argomento a tenere banco è l’impegno della guardia costiera libica nel contrasto dell’emigrazione previsto dal protocollo d’intesa firmato a febbraio dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, e il governo guidato da Fayez Mustafa al-Sarraj. L’accordo ha ricevuto forti critiche per le modalità d’intervento dei libici, specialmente in considerazione della sostanziale instabilità geopolitica che caratterizza la Libia odierna, con più milizie che operano sul territorio. «Non abbiamo contatti diretti con la guardia costiera libica – chiarisce Cooper -. Loro sulla carta dovrebbero muoversi nelle loro acque territoriali, dove noi non andiamo. Le armi puntate alle Ong? È accaduto anche a noi – rivela -. Ci è capitato di essere in acque internazionali e, a conclusione di un trasbordo di 600 persone, una navetta con uomini in divisa ci ha puntato le armi». L’obiettivo delle guardie – «difficile dire se si trattasse della guardia costiera che ha rapporti con l’Italia, posso dire solo che erano in divisa» – è stato presto rivelato. «Hanno voluto riprendersi le imbarcazioni su cui avevano viaggiato i migranti. Perché gliel’abbiamo concesso? Se hai 600 persone a bordo non accetti lo scambio di fuoco», ribatte la portavoce.
Un commento, poi, sui contenuti della relazione prodotta dal Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale che ha visitato gli hotspot. «Per quanto riguarda la capienza e l’igiene non sono compiti che spettano a Frontex – replica -. Noi ci occupiamo di assistere il personale che gestisce le procedure di identificazione dei migranti». Aspetto che tuttavia non è stato esente delle critiche della commissione, che ha ravvisato poca trasparenza nelle modalità con cui vengono compilati i moduli che contengono le informazioni raccolte durante la fase di screening. «Escludo categoricamente che si facciano firmare modelli in bianco – assicura -. Certo, il rischio che possano esserci degli errori nel riportare le informazioni esiste sempre, ma bisogna chiarire – conclude la portavoce di Frontex – che i colloqui non inficiano la possibilità per il migrante di fare richiesta di asilo o protezione».