Omicidio Fragalà, Procura smentisce neodichiarante Sulla presenza di un agente della scorta di Schifani

Non è attendibile: così la Procura di Palermo si è pronunciata sulla credibilità di Antonino Siragusa, in carcere con l’accusa dell’omicidio dell’avvocato e politico Enzo Fragalà. L’uomo è stato arrestato nei mesi scorsi per il delitto, insieme ad altre cinque persone. Da alcune settimane Siragusa ha scelto di rendere alcune dichiarazioni ai pubblici ministeri, fornendo una ricostruzione del pestaggio, poi sfociato nel brutale assassinio, completamente diversa da quella del pentito Francesco Chiarello. In una memoria di 16 pagine le pm Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco, che proprio grazie ai racconti di Chiarello hanno riaperto l’indagine, hanno analizzato punto per punto le dichiarazioni di Siragusa arrivando alla conclusione, in seguito a nuovi accertamenti, che non sono riscontrate. 

Tra i punti più controversi c’è quello relativa all’arma del delitto: una mazza che, nella versione fornita da Siragusa, i killer avrebbero bruciato dopo l’omicidio in un cassonetto della spazzatura in via La Farina, nel centro di Palermo. Chiarello invece sostiene che della mazza usata per il pestaggio si sarebbero disfatti Ingrassia e Siragusa rivolgendosi a una persona che vende pedane vicino all’Ucciardone.

Sempre nella versione di Siragusa, un poliziotto di scorta dell’ex presidente del senato Schifani avrebbe assistito alla scena. Ma proprio su questa vicenda le indagini avviate dalle due pm hanno smentito l’uomo, stabilendo che nell’ora indicata da Siracusa la scorta del politico non era presente e che l’agente del posto fisso non ha fatto alcuna relazione di servizio sul fatto. Per la Procura anche la tempistica degli spostamenti dei killer indicati da Siragusa, Antonino Abbate e Francesco Ingrassia ,non sarebbe verosimile

Secondo invece Chiarello, che racconta di aver preso parte solo alla fase preparatoria dell’omicidio, ad uccidere Fragalà sarebbero stati Francesco Arcuri, che avrebbe organizzato l’aggressione su ordine del boss di Porta Nuova Gregorio Di Giovanni (mai arrestato perché non ci sarebbero elementi sufficienti a suo carico), Antonino Abbate, Siragusa e Salvatore Ingrassia. Abbate, Siragusa e Ingrassia avrebbero atteso fuori dallo studio il penalista, l’avrebbero immobilizzato e pestato; Francesco Castronovo e Paolo Cocco invece, probabilmente sotto effetto di droga, l’avrebbero preso a bastonate spaccandogli il cranio. Il legale, da subito apparso gravissimo, è morto dopo tre giorni di coma

Siragusa, invece, arriva a sostenere che Cocco e Castronovo non avrebbero partecipato all’agguato e discolpa pure Arcuri. L’aspirante pentito, inoltre, minimizza il suo ruolo nel delitto raccontando di essersi limitato a recuperare la mazza usata dai killer per poi telefonare allo studio del penalista per chiedere a che ora sarebbe uscito. Al pestaggio dunque non avrebbe partecipato, rimanendo in auto. I killer nella versione di Siragusa sarebbero Abbate e Ingrassia. Contro la ricostruzione del dichiarante, però, c’è una intercettazione chiave per i pm, quella in cui Cocco, non sapendo di essere ascoltato, dice alla moglie: «Per il fatto dell’omicidio può essere che poi mi vengono a cercare… Che c’ero pure io esce?». Mentre Siragusa sostiene di aver saputo particolari del delitto per avervi preso parte, Chiarello avrebbe appreso della dinamica a Ingrassia e da Castronovo, suo intimo amico, che la sera dell’aggressione sarebbe andato a casa sua con i vestiti sporchi di sangue confessando tutto. 


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