Da stasera fino al 30 aprile, alla galleria d'arte Gianluca Collica di Catania, si potrà visitare "Di'væn", prima parte di un progetto di matrice tutta siciliana che si propone una riflessione sulla cultura e la sua diffusione
Non si parla di divani
Da una cosa che si chiama “Di’væn” ci si aspetterebbe un’esposizione di cuscini, una cosa alla Poltronesofà o Chateau D’Ax, o anche, per risparmiare, Ikea. L’immaginario passa da Sabrina Ferilli che si siede su un divano candido in ecopelle a Mastrota che presenta lo stesso materasso Eminflex in offerta da almeno vent’anni.
Ma “Di’væn”, la mostra che aprirà al pubblico questa sera e rimarrà visitabile fino al 30 aprile, presso la galleria d’arte Gianluca Collica di Catania, non potrebbe essere niente di più diverso.
«È solo il primo atto di qualcosa di più ampio, il cui calendario uscirà nei prossimi giorni», ci ha spiegato Francesco Lucifora, curatore della mostra. «L’idea, comunque, è ben lontana da quella di una semplice esposizione, o di una collettiva. Il nostro obiettivo è quello di creare una platform per una riflessione ampia ed articolata», che parta dal concetto arabo di “diwan”, che era il sofà sul quale si discutevano affari pubblici e privati e che, per estensione, è diventato «un luogo di passaggio per energie non solo commerciali ma anche, e soprattutto, culturali».
Così le tecniche si fondono e gli artisti interpellati hanno la libertà di muoversi su quei sentieri che risultano loro più congeniali: Carmelo Nicosia «e la sua fotografia che parla del paesaggio e dell’influenza umana in esso»; Filippo Leonardi «e quella che potremmo definire un’arte neoconcettuale, in cui la natura si somma a riflessioni antropologiche»; Piero Zuccaro «con la sua pittura che scompone le forme e dilata gli spazi»; Paolo Parisi, «la cui pittura va inserita in un più ampio contesto di progetti, e che vede l’arte come una nuova relazione tra forma e contenuto», canecapovolto, «trio formatosi a Catania e che tende alla videoarte, ma non si fossilizza e sperimenta, sia visivamente che acusticamente»; Federico Baronello «e la fotografia investigativa, se così possiamo chiamarla, perché fa vedere elementi che sfuggono ad un occhio troppo abituato, cose che abbiamo sempre sotto gli occhi e che la quotidianità ci nasconde».
Artisti, quelli appena citati, tutti di fama nazionale e non soltanto, uomini affermati che hanno in comune le loro radici: catanesi emigrati e poi tornati, oppure sempre rimasti, che espongono le loro opere «in una delle gallerie più importanti del sud Italia, ma non temo di dire che sia una delle più importanti dell’Italia intera».
E non è un caso: «Non solo perché io», ha proseguito Lucifora, «sono un curatore indipendente e siciliano, ma pure perché nell’idea del progetto c’è quella di partire dalle energie di una regione, di sfruttarne le radici e di investire in essa, anche promuovendo gli emergenti».
Tanta carne al fuoco per trattarsi di divani.