Per riflettere sullo sgombero coatto di un mese fa, i volontari, o come preferiscono definirsi, i militanti del Laboratorio Zeta di Palermo si sono avvalsi del contributo di Letizia Battaglia, fotoreporter conosciuta in tutto il mondo, che, dopo anni di assenza dalla sua città, ha curato la mostra fotografica Se la guerra è civile allinterno del centro sociale- Palermo, Zetalab rioccupato a metà
Zetalab, la battaglia di Letizia
“Se la guerra è civile”. E’ il titolo dell’esposizione di foto ‘vintage’ (aperta fino a stasera) allestita, su espressa volontà di Letizia Battaglia, all’interno del Laboratorio Zeta, il centro sociale palermitano sgomberato lo scorso mese di gennaio e ora nuovamente occupato. La mostra comprende 80 stampe divise in quattro pannelli e otto gigantografie, tutte rigorosamente in bianco e nero e realizzate a partire dal 1975 fino all’inizio degli anni novanta. A firmare le foto, alcune presentate già nel 1979 in collaborazione con il Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato”, sono oltre alla celebre fotoreporter, Vittorio Aurino, Ernesto Battaglia, Shobha, Tony Bono, Maurizio D’Angelo, Luciano Del Castillo, Riccardo Liberati, Salvo Lupo, Eugenio Mangia, Fabio Sgroi e Franco Zecchin. C’è spazio pure per tre fotografie a colori di Giulio Azzarello e Emanuele Lo Cascio, scattate nell’estate del 2009.
“Caro signor Questore …”,
con una lettera aperta la nota fotografa ha provato ad avviare una riflessione e, forse, anche una discussione con il responsabile della forze di Polizia su quanto accaduto il 19 gennaio scorso, sul perché “la gente, giovani per la maggior parte, che da anni metteva in atto iniziative culturali e sociali in un edificio occupato, sì occupato, è stata con la forza buttata fuori, malmenata e persino arrestata”.
Il primo incontro con Alessandro Marangoni risale a un anno fa, in occasione della pubblicazione di un libro su Boris Giuliano, contenente immagini da lei stessa donate. “Fu prima di andarmene, proprio mentre ci stringevamo le mani, che mi venne un impeto: la guardai negli occhi e le sussurrai «La prego… né giovani, né zingari, né immigrati». Lei mi lanciò un sorriso, un vero sorriso, un sorriso umano”.
Dalla convinzione che “il Questore potesse essere un baluardo in difesa dei più deboli” all’amarezza per gli ultimi episodi, il passo è stato breve. Sullo sfondo l’emergenza sociale che affligge questa città e che questo luogo di via Boito, in piccolo, cerca di fronteggiare: doposcuola per i bambini stranieri, lezioni di italiano per gli immigrati, accoglienza per i rifugiati politici ecc. Da qui la reazione di tanta gente, anche degli intellettuali, i quali, come ha evidenziato la sociologa Alessandra Dino durante la presentazione, “di fronte a tali fatti si scuotono e incominciano un lavoro di denuncia, di coerenza e di demistificazione delle menzogne. Facendo propria la lezione di Norberto Bobbio – ha proseguito la Dino – gli intellettuali hanno il compito di seminare dubbi, non di raccogliere certezze, e devono scegliere da che parte stare”.
Letizia Battaglia questo lavoro lo fa a modo suo, col suo stile, tornando a curare, dopo lunghi anni, una mostra a Palermo, tirando fuori dai cassetti di casa sua “foto di criminali e di eroi …, di fatti che hanno sconvolto la nostra vita civile, realizzate negli anni di Ciancimino da un gruppo di fotografi che lavorava al giornale l’Ora”.
Si vedono pressoché tutti i protagonisti, nel bene e nel male, di una lunga stagione in bianco e nero. Magistrati, politici, boss mafiosi, poliziotti, imprenditori, carabinieri, collaboratori di giustizia … Quasi tutti morti ammazzati o finiti in galera. Si vedono le sequenze dei loro omicidi e dei loro processi. Si vedono loro stessi in vita sul luogo del delitto accanto ad altre vittime. Come nel caso di Rocco Chinnici e Giovanni Falcone accorsi in via Generale Turba dove sono stati uccisi Pio La Torre e Rosario Di Salvo, e di Boris Giuliano vicino all’auto dove è stato assassinato Michele Reina e, in un’altra circostanza, intento a fermare un’anziana signora afflitta dalla disperazione. C’è la celebre foto scattata all’hotel Zagarella con Nino Salvo, Giulio Andreotti e Piersanti Mattarella, acquisita successivamente agli atti di un processo. Ci sono anche tanti delitti senza nome, “ambientati” nei mercati popolari, in campagna, dentro un’infinità di automobili, dentro un portabagagli, dentro un tombino.
Una gigantografia ritrae tre corpi freddati dentro uno squallido appartamento, dalla didascalia si legge che “Nerina faceva la prostituta e si era messa a trafficare droga. La mafia l’ha uccisa perché lei non aveva rispettato le sue regole”. Giuseppe Crapanzano, giornalista del Tgr Rai presente all’inaugurazione, fissa la scena e torna con la mente alla sua esperienza al quotidiano l’Ora: “Ti ricordi, Letizia? C’ero anche io per fare un servizio, la casa era a piazza S. Oliva …”. Ricordi di anni che non ci sono più, ai quali sono seguiti anni di entusiasmo e di stagnazione, anni di coraggio e di sfiducia, e che vengono puntualmente descritti da una frase contenuta in una delle stampe esposte: “Non scandalizzarti quando il lavoratore inneggia alla mafia perché “prima” si lavorava, mentre ora con le istituzioni “pulite” c’è disoccupazione!!!!”
Un lavoro di denuncia e di coerenza, ma anche di pacificazione: da qui l’invito al Questore a essere presente, da qui l’ostinazione nel credere che lo sgombero sia frutto soltanto di un “grande equivoco”.
Il lavoro di un’artista “a cui capita, anche a settantacinque anni, di sognare che il mondo possa cambiare” e di sperare che Alessandro Marangoni possa realmente venire a visitare la sua mostra.
Foto: Giovanni Falcone al funerale del generale Dalla Chiesa, una delle foto della mostra curata da Letizia Battaglia.