Il presidente del Senato, giudice a latere nel 1986, rievoca i 21 mesi che segnarono la storia giudiziaria del Paese e la lotta alla mafia: «Il processo poteva celebrarsi a Roma, Falcone e Borsellino si batterono perché rimanesse qui». Insieme a lui uno dei pm, Giuseppe Ayala: «Giovanni in una parola? Un innovatore»
Capaci, il ricordo dei protagonisti del Maxiprocesso Grasso: «Falcone mi disse: “Un giorno capiranno”»
Nella giornata in cui si celebrano i 25 anni della strage di Capaci, durante le commemorazioni nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, i protagonisti ricordano quello che fu uno dei priù grandi eventi nella storia del contrasto alla mafia: il Maxiprocesso del 1986. Furono 349 le udienze svolte nella cosiddetta aula verde, 1314 gli interrogatori effettuati, 635 arringhe difensive. In video scorrono le immagini di quei giorni, mentre a raccontarne la genesi sono il presidente del Senato Pietro Grasso, che in quel processo ricopriva il ruolo di giudice a latere e il magistrato Giuseppe Ayala, che era tra i pubblici ministeri.
«Si era palesata l’ipotesi che il processo si celebrasse a Roma – spiega Grasso – ma Falcone e Borsellino si batterono perché non avvenisse. Fu costruita questa aula appositamente. È stata una grande vittoria». Continua Ayala: «21 mesi di vita in comune fra corte, pm, difensori e questi imputati nelle gabbie: quando li guardavo mi accorgo che si potevano intuire già da come erano seduti gli imputati di quali fossero le gerarchie, un elemento di prova evidentissimo. Ma è chiaro che le prove contro di loro furono altre». E sulla figura di Giovanni Falcone: «Per descriverlo con una parola sola userei “innovatore”. Non dimentichiamo però anche i giudici popolari, coinvolti loro malgrado e che non rinunciarono all’incarico. E poi bisogna ricordare una straordinaria polizia giudiziaria, di cui si parla meno. Cancellieri e segretari anche, che credevano in quello che stavano facendo. Lo Stato era presente anche attraverso i semplici impiegati».
«Pensavo che il tempo potesse attenuare le emozioni de quel momento, ma non è così – riprende Grasso – Oggi ho voluto rivedere la camera di consiglio, il cortiletto, il mio studio e ho rivissuto con quegli anni con tanta tanta emozione. Passare 21 mesi qui dentro ha significato non avere più vita privata, ma è il senso del dovere che ci faceva andare avanti. La grande capacita di Falcone era proprio quella di saper resistere, malgrado le sconfitte, gli attacchi, le delegittimazioni. Lui mi disse “vedrai, un giorno lo capiranno”. E oggi lo abbiamo capito». Gli fa eco, ancora, Ayala: «Non ho avvertito momenti di isolamento, c’era una grande circolazione di rapporti umani, alcuni nati in quell’occasione, che diventarono vere amicizie in seguito». E conclude: «Sarei disposto a rifare tutto di nuovo, ma questa volta, per favore, non ammazzatemeli».