Alla Jam session si suona Tetris

Sbarca per la prima volta a Catania, e in Italia, la Global Game Jam, una 48 ore no-stop di “game development” che sarà ospitata dalla facoltà di Ingegneria dell’Università di Catania dal 29 al 31 gennaio. Ci si chiude in una stanza a programmare, e ci si stacca dal monitor del computer solo per andare a dormire? In realtà non è esattamente così. A parlarne ai microfoni di Radio Zammù per sviscerare nei minimi dettagli questo evento sono gli organizzatori: Salvo Mica, Ambra Bonaiuto e Giovanni Famà, organizzatore ma anche partecipante, tutti e tre parte di E-Ludo Interactive, nata a novembre del 2009: il GGJ (Global Game Jam) è un importante biglietto da visita per questa giovanissima start-up.

Chi è il partecipante tipo di questo Global Game Jam?

«Chiunque sia appassionato di videogame. Lo spirito della Global Game Jam è di mettere insieme lo spirito “Indie”, che vuol dire indipendente, creare videogiochi perché piace farlo. Quindi parteciperanno programmatori, grafici, musicisti, scrittori, designer. Appassionati di videogiochi che vanno lì e provano. Non è una gara, la cosa importante è che è un modo per ritrovarsi attorno al tema del videogioco».

Voi avete ripreso quello che i musicisti fanno da una vita “mettersi insieme e suonare”. Dunque, una “Jam session” dove si suonano i videogames… Che tipo di videogioco potrebbe uscir fuori?
«Il nuovo LostWinds magari, che è un gioco indie che ha fatto un successo strepitoso, bellissimo per altro. Più realisticamente però non ci aspettiamo risultati di altissimo livello in sole 48 ore, ma potrebbe essere una opportunità. Anche se non è una gara – ci tengo a sottolinearlo – l’anno scorso quello che tutti gli organizzatori hanno ritenuto migliore nel mondo poi ha trovato un finanziatore per produrre il gioco, ed è entrato nel mercato. Potrebbe non accadere quest’anno, oppure potrebbe accadere a dieci o venti persone, visti i numeri: quest’anno le Jam e i partecipanti sono molte molte di più del 2009».

In quali altre parti del mondo ci sarà una Jam come quella di Catania?

«In Europa ci saranno un’altra ventina di Jam, così come negli USA e in Asia, in Africa una. Ce ne sono pochine solo in Alaska…Forse per il freddo! Magari l’anno prossimo ci facciamo un viaggetto e la organizziamo noi lì!».

Tanto successo per un evento partito solo nel 2009.
«La Global Game Jam nasce dal Nordic Game Jam, lo stesso tipo di progetto ma ristretto al Nord Europa. Dallo scorso anno è stata sviluppata a livello globale dall’IGDA (International Game Developers Association), una organizzazione no-profit che opera nell’ambiente accademico e riguarda proprio lo studio del design digitale. L’anno scorso è stata la grande “prima”, ma, di fatto, non c’era stata nessuna iniziativa in Italia».

E quindi questa è la prima… Voi l’anno scorso sapevate dalla GGJ, siete stati in giro per il mondo a vedere magari?
«No, l’ignoravamo del tutto!»

Questo sì che è essere sinceri! Quest’anno invece avete tirato su le maniche della camicia e avete cominciato a organizzare, una impresa non facile, per la quale è stato necessario il supporto di sponsor e altri partner.
«Sì, abbiamo avuto una risposta che sinceramente non ci aspettavamo. Innanzitutto dalla sede, noi ringraziamo sempre la facoltà di Ingegneria che ha creduto in questo progetto sin da subito, ci ha messo a disposizione le aule, e ringraziamo il prof. Fortuna proprio per questo: non è così immediato credere nel videogioco come opportunità di sviluppo delle persone del territorio e dell’Università stessa».

Oltre alla Facoltà di Ingegneria, chi sono gli altri vostri partner?
«Tra gli sponsor: la Milestone, una delle software house più importanti in Italia, il NAPS software house siciliana, poi Ustation, negozi di elettrodomestici, catering, residence e tanti altri».

Le adesioni sono già chiuse da tempo, ma quanti saranno i partecipanti?
«Siamo arrivati a una cinquantina di partecipanti, un limite massimo per ragioni di spazio. Le nostre aspettative sulla partecipazione sono state soddisfatte appieno».

Si potrà assistere a questa Global Jam?

«No purtroppo, l’evento è a porte chiuse, riservato agli addetti ai lavori. Niente pubblico».

Quindi solo dopo le 48 ore scopriremo in che stato siete e cosa avete prodotto. Cosa potremo vedere da subito, la mattina del 1 febbraio?
«Alla fine della GGJ tutti i partecipanti dovranno caricare i propri lavori sul sito della GGJ www.globalgamejam.org, nel quale sarà aperta una sezione games. Chiunque si colleghi sarà libero di consultare tutti i giochi che sono stati caricati sul sito. Quindi non solo quelli catanesi ma anche quelli del capitolo africano, norvegese, irlandese».

Sarà quindi bello confrontare, vedere com’è la creatività negli altri Paesi partecipanti. Una domanda a Giovanni Famà che tra gli organizzatori è anche il partecipante: tu cos’hai in mente per questa Global Jam?
«Non ne ho idea! La Global Game Jam funziona così: l’ IGDA darà un tema e su quel tema svilupperemo. L’anno scorso il tema era “finché stiamo insieme non saremo mai a corto di problemi” e sono stati ideati tantissimi giochi in cooperativa, dove due giocatori sono sullo stesso schermo, con due pad magari, e si aiutano per raggiungere uno scopo. Quest’anno, come quello scorso del resto, il tema della Global Game Jam sarà dato all’apertura dei lavori, quindi non sappiamo assolutamente cosa aspettarci».

Come si si lavorerà? A settori, per esempio, con i musicisti che lavoreranno insieme e da un’altra parte i designer?
«No, ci saranno dei team composti ognuno da varie figure, ad esempio un grafico, un designer, un programmatore, un musicista. Comunque chi lo vorrà potrà farsi dare una mano da un altro, non ci sono delle vere e proprie regole».

Facciamo un esempio di videogame che hanno avuto un discreto successo e che fanno “memoria storica” per le global jam succesive?
«In realtà, non ce ne sono. Diciamo che normalmente per sviluppare un gioco abbiamo un lavoro di due-tre mesi di un team “skillato”, cioè con le competenze (skills) adatte, quindi non ci aspettiamo dalla GGJ che escano dei “gioconi”.
Per esempio uno degli organizzatori mondiali, Ian Schreiber della IGDA sosteneva che “noi impariamo molto di più sulla creatività dai cattivi giochi piuttosto che dai buoni giochi” quindi diciamo che tutto è importante per loro proprio come atto creativo, questa è la cosa che conta. Noi non ci aspettiamo che in 48 ore nasca un gioco che faccia veramente “storia”, perché un videogioco ha bisogno di una pianificazione molto lunga. Quindi mi aspetto molti platform, mi aspetto qualche action con lo scorrimento orizzontale tutto 2d, mi aspetto questo nel migliore dei casi, nel peggiore mi aspetto immagini, bozze…
».

Cioè spunterà qualcuno con il Tetris?
«Magari!»

E’ così difficile realizzare il Tetris?
«Non come grafica, quanto come design, perché ha un design geniale, va proprio a prendere la base dell’istinto umano che è quella di “fare ordine all’interno del caos”. Chi lo ha inventato è un genio assoluto. Quindi se ci sarà qualcuno che inventerà un “tetris” saremo felici, soprattutto se catanese».

Nel corso dell’anno capiterà di entrare in contatto con altri sviluppatori presenti nelle altre tappe della GGJ? Oppure tutto lo scambio di conoscenze avverrà solo tramite il sito?
«Attualmente è così, ma l’IGDA stia contemplando di fare degli “scambi culturali”. Del resto tutta questa manifestazione come detto è importante perché sta portando avanti lo spirito “Indie”, fare videogiochi non perché un publisher mi da i soldi per farli, ma fare videogiochi perché mi piace farli. Lo spirito indie è proprio la base della creatività. Per sfruttare questo momento di unione abbiamo creato sul nostro sito una community. Per il momento è aperta in via esclusiva ai partecipanti della GGJ, ma in seguito apriremo anche a tutti quelli che magari non sono riusciti a partecipare, ma che comunque hanno uno “spirito Indie”».

Non abbiamo ancora detto che ci saranno degli ospiti illustri e anche una tavola rotonda all’interno di questa due giorni…
«Sì, è stata per noi un motivo di onore organizzare questa tavola rotonda, perché abbiamo ricevuto, tanta attenzione da parte dei media, da parte degli sponsor ma anche da parte delle autorità accademiche. Alla tavola rotonda interverrà la prof. Rosa Maria Di Natale che insegna “Giornalismo e nuovi media” alla facoltà di Lingue, interverrà ovviamente il preside Fortuna che aprirà i lavori e che ci ha ospitato alla facoltà di Ingegneria, NAPS, la Milestone, e Lucca Comics and Games. Vi do un’anteprima: interverrà Marco Accordi Rickards che è un simbolo per tutti quelli che leggono e sono appassionati di videogiochi: è l’impersonificazione di quello che è il giornalismo videoludico in Italia, docente di “Teoria e critica delle opere multimediali interattive” all’università Tor Vergata, unica cattedra in Italia di quest’ambito. Soprattutto è il fondatore di AIOMI, “Associazione Italiana Opere Multimediali e Interattive”, che sta facendo tanto per il settore dello sviluppo videogame».

Quindi ci sarà la possibilità di incontrare la più alta personalità nel campo del giornalismo videoludico italiano…
«Sì. Nel campo del giornalismo videoludico, posso dirlo senza nessuna possibilità di smentita, è una personalità eccezionale».

Giovanni, sei anche uno dei partecipanti, metterai le mani all’interno di uno dei team. Hai già avuto altre esperienze, hai già programmato? Cioè, c’è un tuo gioco che possiamo utilizzare?
«No, purtroppo no. Come esperienze passate mi sono cimentato nel design, che è una cosa che mi appassiona tanto, ma comunque io sono entrato in questo settore dalle pubbliche relazioni poi ho voluto provare un po’ di game design. Sono 14 o 15 anni che videogioco, per cui volenti o nolenti a furia di starci “a mollo” qualcosa l’ho presa. In questa avventura della GGJ mi ha portato Salvo, che mi ha “notato” nell’ambiente di lavoro precedente e mi ha detto “vieni con me”».

Tu sei uno studente ancora?
«Sì, studio Lingue, e sono uno dei pochi partecipanti che è iscritto in altre facoltà rispetto a Ingegneria o Informatica. Non studio informatica ma sono nerd uguale, giuro».

Quindi tu non hai competenze che hai appreso in ambito accademico ma fuori, come passione: questa è la dimostrazione che non si tratta di un settore offlimits per super esperti.
Salvo Mica: «La cosa importante è che il designer non è né un grafico né un programmatore. Il designer è il progettista dell’interazione, quindi può avere anche una formazione umanistica. Molto spesso il designer è un grafico o un programmatore, ma molto spesso è un laureato in giurisprudenza o in antropologia che non c’entra assolutamente niente con quello che deve fare ma è un appassionato di interazione in digitale, come per esempio il nostro Giovanni o come altre persone che parteciperanno».

Quali sono i vostri videogiochi preferiti?

Salvo Mica: «Il mio sicuramente Grim Fandango, un’avventura grafica, vanto della gloriosa Lucas Arts, un gioco che ha più di 10 anni. Nei videogiochi è la caratterizzazione del personaggio l’aspetto che preferisco, come in Grim Fandango: quindi la sua profondità, la simpatia, i dialoghi, la sceneggiatura, questo mi interessa molto del videogioco. Diciamo che mi interessa l’aspetto narrativo, ‘più umanistico’ del videogioco, per me le avventure grafiche sono il top».

Giovanni Famà: «Difficile, comunque ci provo: uno è Bioshock, sparatutto in prima persona uscito nel 2007, mi sembra, che è stato rivoluzionario, perché non è “stare lì a sparare a tutto quello che si muove” ma ha una profondità di trama. Il secondo è Braid, una produzione indipendente che è uscita da un paio d’anni. Si tratta di un platform, però maledettamente profondo; apparentemente la storia è banale: il rapporto tra lui e lei, una principessa… Invito tutti coloro che non l’hanno ancora provato a giocarlo».

Ambra Bonaiuto:  «Mi sono accostata ai videogiochi solo la scorsa estate, quindi non ho giocato tantissimo, ma quello che mi ha colpito di più è God of war, e ora aspetto di giocare Danthes Inferno».

Tutti giochi dai nomi femminili… Ami ammazzare e uccidere…
«Sì! Ma anche la storia mi è piaciuta tantissimo, e quel che c’è dietro dal punto di vista mitologico».


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