Il viola? Chissà che porti bene

Con buona pace degli scaramantici, Roma si è vestita di viola. Infatti è questo il colore che gli organizzatori del No Berlusconi Day hanno scelto come simbolo della giornata ed è con indosso un qualsiasi indumento di questo colore (cappotto, sciarpa o calze) che le centinaia di migliaia di partecipanti al corteo sfilano per le strade della capitale.
Fatto unico più che raro, questa manifestazione nasce al di fuori dei partiti (come rivendicato con orgoglio dagli stessi organizzatori) e lo fa usando uno strumento finora poco esplorato per mobilitare le masse su questioni di carattere sociale, ovvero la rete. Il 9 ottobre scorso infatti, su iniziativa di un gruppo di blogger democratici, nasce su facebook un comitato dal nome piuttosto esaustivo: “no Berlusconi Day”. Nel giro di pochissimo tempo, gli iscritti si moltiplicano fino ad arrivare, sabato sera, a quota 360.000.

Stanchi del “finto fair play” di un’opposizione che considerano debole (come si legge nel testo del loro appello, rintracciabile sul sito www.noberlusconiday.org) e indignati dal comportamento del presidente del consiglio Silvio Berlusconi «che tiene il Paese in ostaggio da oltre15 anni e la cui concezione proprietaria dello Stato lo rende ostile verso ogni forma di libera espressione», i blogger ne chiedono le dimissioni e convocano una manifestazione di piazza a Roma per dicembre. Nel frattempo, la febbre anti-B si espande a macchia d’olio in tutta Europa, e manifestazioni con lo stesso tema (la non eleggibilità di Silvio Berlusconi, l’antidemocraticità insita nella sua politica, la necessità che si dimetta insomma) invadono le piazze di Vienna, Monaco, Bruxelles.

A Roma, all’appuntamento in piazza della Repubblica, non sono in moltissimi ad arrivare, ma le fila del corteo si ingrosseranno cammin facendo, fino a riempire completamente piazza San Giovanni, dove è stato allestito il palco, e tracimare nelle strade vicine. Roma è bloccata. Massimo Malerba, uno degli organizzatori, tra i primi a salire sul palco, parla di un’adesione che supera le 500.000 presenze. Nel tardo pomeriggio, si mormora di un milione di persone. Tutte qui per lo stesso motivo: chiedere le dimissioni di Silvio Berlusconi, perché «chiunque si pone al di sopra della legge deve dimettersi», come conclude Malerba. Gli fa eco subito dopo Margherita Hack, della quale viene mostrato un intervento filmato. A dispetto della sua veneranda età, usa toni non certo pacati: «Basta a questo spudorato tentativo di proteggere il cavaliere dai suoi crimini! Vergogna! E’ una vergogna che una persona faccia lavorare il Parlamento per fare leggi incostituzionali. La legge è uguale per tutti». Si spinge oltre, fino ad apostrofare così il ministro della giustizia, Angelino Alfano, e tutto l’esecutivo: «Ministro Alfano, ma non si vergogna a farsi trattare così, ad essere minacciato? Siete succubi di Berlusconi, succubi della Chiesa, vergognatevi e andatevene!».

Sempre in tema di splendidi novantenni, a sorpresa arriva sul palco uno dei maestri del nostro cinema, Mario Monicelli. Anche lui, bardato in una deliziosa pashmina viola, sfodera una grinta da ventenne. «Grazie», dice rivolto alla folla, «per aver costruito una giornata così bella di gioventù. Dobbiamo spazzare via questa classe dirigente. Dobbiamo costruire una penisola dove le parole chiave siano uguaglianza, diritto al lavoro, giustizia. Senza queste tre cose, non ci può essere libertà. La battaglia non finisce mai, anche quando si crede di aver vinto. Spero abbiate la forza di tenere duro. Viva la vostra forza!», e poi parole a cui il popolo della sinistra si era disabituato, ma a cui si scalda subito: «Viva la classe operaia! Viva il lavoro!». E «viva Monicelli!», gridano dalla piazza, colorata oggi da bandiere rosse, bianche, come quelle dell’Italia dei Valori, che ha messo il suo punto di raccolta proprio sotto il palco.

Qua e là, timidamente, fanno capolino striscioni del Partito Democratico che, come sappiamo, ha deciso da subito di non partecipare alla manifestazione. L’assenza del partito è uno degli argomenti della piazza, delusa. Tenta di mediare Rosy Bindi, presente dietro le quinte: «Si può stare in piazza e si può stare nel partito. Il Pd interloquirà con la piazza». E a nome della piazza pare rispondere Giorgio Bocca, anch’egli presente virtualmente, ovvero tramite contributo filmato: «Per fortuna ci sono i movimenti autonomi. Decida Fini, decida il Pd cosa vogliono fare». A domanda diretta «cosa deve fare il Pd?», il giornalista risponde secco: «il Pd deve fare opposizione, mi auguro combini qualcosa».

Dopo una parentesi molto sentita dedicata al terremoto d’Abruzzo (sale sul palco Elsa, una terremotata che urla «quello che vi fanno vedere non è la realtà. La realtà è l’opposto di quello che vi fanno vedere!») è la volta di Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso dalla mafia il 19 luglio del 1992. Borsellino scalda gli animi dei manifestanti, va dritto al punto. Sale impugnando l’agenda rossa, come i ragazzi che lo seguono e che trascinano fin sotto il palco lo striscione «Apri gli occhi, osserva. Non chiudere le orecchie, ascolta. Solo così sentirai il fresco profumo della libertà». L’incipit non lascia spazio a fraintendimenti: «Il vero vilipendio è che persone come Schifani occupino le istituzioni. Schifani non vuole chiarire i rapporti avuti con persone poi condannate come mafiosi nel suo studio professionale. Come si può accettare un Presidente del Consiglio il cui partito è sorto con i capitali della criminalità organizzata, la quale ora lo ricatta? Non dobbiamo permetterlo, dobbiamo essere noi a cacciarlo». Borsellino ha poi citato tutti i nomi degli agenti di scorta del fratello Paolo morti con lui nell’attentato: «quei ragazzi sono i nostri eroi, non Vittorio Mangano; quello è un loro eroe».
«Fuori la mafia dallo Stato»
è lo slogan che la piazza comincia a scandire con Salvatore Borsellino, di certo il più applaudito del pomeriggio. Sembrano non volerlo far andar via, ha detto parole che non si sentono in bocca ai politici di professione. «Resistenza!» è l’ultimo grido accorato che lancia. E la piazza, pensionati e precari, disoccupati e studenti, genitori e figli, sembra avere tutte le intenzioni di resistere.

Quanto sia bella questa piazza, che vince il freddo saltando al grido di «chi non salta Berlusconi è», lo sottolinea anche il premio Nobel Dario Fo, che sale sul palco accompagnato dall’inseparabile Franca Rame. «Quella di oggi è una giornata storica – dice – perché si è arrivati al paradosso che persone sconosciute si sono incontrate via etere e si sono unite per cambiare questo mondo di merda! In questo momento terribile, di giovani che non sanno dove sbattere la testa, di ragazzi che vanno a trovare speranza all’estero, quello che sta accadendo stasera ci fa capire che il momento della gioia è vicino».

Alle 18 e 30 gli interventi stanno per finire. Da lì a poco comincerà il concerto, aperto da Roberto Vecchioni. Il freddo ormai è pungente e la stanchezza si fa sentire, ma la folla è tutta qui, a piazza San Giovanni, decisa a rimanere. Perché, come ha detto Fiorella Mannoia questo pomeriggio: «che se ne vadano loro. Noi restiamo qui».


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