È lo sfogo di Carmela La Spina, la mamma di uno dei due ragazzi, che poi rivolge un appello a chi li vide per ultimi: «Parlate, voglio sapere la verità: bella o brutta». Nel pomeriggio sono previsti a Trabia un memorial e una simbolica partita di calcio per ricordare i due giovani che oggi avrebbero rispettivamente 40 e 37 anni
Casteldaccia, 25 anni senza Salvatore e Mariano «Più tempo passa e meno fiducia ho nello Stato»
Venticinque anni oggi. È il 31 marzo 1992 infatti quando spariscono nel nulla il quindicenne Salvatore Colletta e il dodicenne Mariano Farina. A ricordarli oggi insieme ai familiari saranno i volontari dell’associazione culturale Fare per migliorare, guidati dal maresciallo Francesco Mancuso. Il memorial si svolgerà a Trabia, dove si giocherà alle ore 18.45 una partita di calcio presso l’impianto sportivo Manhattan, in corso La Masa. I due ragazzini vivevano a Casteldaccia e a unirli era proprio la passione per il pallone. Non erano due grandi amici, eppure spariscono insieme. All’inizio forse è una fuga. Mariano aveva già manifestato con altri coetanei il desiderio di allontanarsi da casa. Cosa sia successo in seguito non è stato ancora scoperto, malgrado il caso sia tornato recentemente alla ribalta, ipotizzando un collegamento con i resti ritrovati a Roccamena a ottobre 2016. Ma, come è stato detto ai familiari di Salvatore dagli inquirenti, quelle ossa potrebbero con molta probabilità risalire agli anni ’60-’70.
L’ipotesi che in questi anni è sembrata più convincente ai familiari, soprattutto ai genitori di Salvatore Colletta, è quella della pista nomade. «Abbiamo ricevuto tantissime segnalazioni in tal senso», aveva detto in un’intervista a MeridioNews Carmela La Spina, mamma di Salvatore. Lei stessa, a poche settimane dalla scomparsa, è convinta di scorgere Mariano Farina proprio in un campo nomadi, mentre lei sta percorrendo in auto la statale 113 all’altezza di San Nicola. Si accosta subito ma il bambino scappa facendo perdere le sue tracce. «Non ho mai pensato che c’entrasse la mafia», ha sempre detto la donna, che dopo 25 anni di mancate risposte non smette di sperare e di lanciare appelli destinati al figlio: «Più anni passano e meno fiducia ho nelle istituzioni, nello Stato, nella giustizia – dice Carmela – Sono sempre meno fiduciosa perché da quel maledetto 31 marzo chi doveva cominciare ad indagare non l’ha fatto bene ma in modo incostante, superficiale e scorretto».
L’appello della donna prosegue senza troppi giri di parole e tira nuovamente in ballo la pista alla quale, secondo lei, si sarebbe dovuto dare maggiore peso: «Troppi gli avvistamenti con i nomadi non verificati, presi sotto gamba. Troppi gli indizi e le piste lasciate al caso, troppo il tempo passato per interrogare tutti i ragazzi che quel giorno hanno visto per ultimi mio figlio e che oggi preferiscono il loro silenzio e la loro omertà al mio dolore e a quello di tutto la mia famiglia». A non essere risparmiati sono soprattutto gli inquirenti, che secondo lei hanno investigato poco o addirittura nel modo sbagliato, costringendola oggi a «lottare da sola e con pochi strumenti a disposizione». «Se fosse stato vostro figlio? – incalza la mamma – Mi rivolgo a chi ha avuto l’incarico di indagare per arrivare a una verità, mi rivolgo ai carabinieri, ai pm, ai nuclei investigativi e a tutte le istituzioni che hanno messo il caso di mio figlio insieme agli altri, vedendolo come un fascicolo uguale all’altro. È tanta la delusione nei confronti di una giustizia che non funziona».
A chi le domanda come faccia ad andare avanti risponde sicura: «Ogni giorno mi affaccio dal balcone e spero che mio figlio suoni al campanello di casa come era solito fare, e mi faccia finalmente vivere senza questo dolore, questa angoscia, questo cruccio che io non riesco più a sopportare». Neppure la notte riesce a trovare sollievo, questa mamma, e i sogni in cui si incontra con suo figlio sono frequenti e a tratti rassicuranti. Il suo appello si rivolge anche ai ragazzini che li videro per ultimi: «Oggi sicuramente avrete dei figli a cui insegnare dei valori: insegnate loro che l’omertà, il silenzio e l’essere complici della sofferenza di un’intera famiglia non sono dei valori – continua – Parlate, voglio sapere la verità, sia bella che brutta». Infine, l’appello di Carmela non può che rivolgersi anche a quel figlio che oggi avrebbe 40 anni: «Spero che nessuno ti abbia fatto del male perché non lo meriti, le tue uniche colpe sono state acconsentire ingenuamente alle richieste di chi è stato più furbo di te facendoti capire chissà che cosa. Spero di riabbracciarti un giorno, non smetterò mai di lottare per la verità. La tua famiglia ti aspetta».