Mafia, il pentito Tantillo e gli ultras di Borgo Vecchio Chiamato in causa dopo sgarro al boss di Ballarò

C’è un po’ di tutto nelle ultime dichiarazioni del pentito di Borgo Vecchio Giuseppe Tantillo, persino lo sport. Anzi, gli ultras a tinte rosanero. Solo alcuni giorni fa le ultime indiscrezioni, in occasione del suo esame e controesame che si sono svolti nel carcere in cui è recluso nell’ambito del processo Panta rei, risultato del blitz che ha colpito i mandamenti mafiosi di Porta nuova e Bagheria. Tantillo racconta alla pm Caterina Malagoli di quando l’ex boss di Ballarò, Salvo Mulè, lo ha voluto incontrare perché intercedesse, con la sua figura di capo indiscusso del quartiere Borgo Vecchio, roccaforte dei Tantillo, per calmare gli animi di un gruppo di tifosi. «Alcuni ultras del club rosanero di Borgo Vecchio si erano comportati male con un suo amico – dice – Il mio compito era quello di andarci a parlare in modo da farli smettere». Un dettaglio che salta fuori adesso e che i magistrati approfondiranno.

Doveva rimproverarli. Fare la voce grossa, non importa dicendo cosa, l’importante era fare arrivare forte e chiaro il messaggio di Mulè. Bisognava risolvere la questione nata da uno sgarro forse avvenuto proprio su quegli spalti condivisi con le tifoserie di altri quartieri della città. Non è una novità però, per quanto possa suscitare impressione, che la mafia avesse esteso la propria influenza anche su un mondo come quello dello sport. Non troppi anni fa erano proprio due fedelissimi rosanero che si rivolgevano al boss Antonino Abbate per denunciare gli ultras più violenti allo stadio. A nomi e cognomi seguiva una reazione, una sorta di intervento dall’alto per ristabilire regole e ordine.

Ad alternarsi a Tantillo nei colloqui con i pubblici ministeri c’è anche il pentito Pasquale Di Salvo, ex agente di polizia della scorta del giudice Giovanni Falcone, arrestato anche lui a dicembre 2015 col blitz Panta rei. Uomo di fiducia dell’anziano boss bagherese Pino Scaduto, che credeva in lui malgrado la macchia di quel peccato originale, essere stato un tempo parte di quelle istituzioni che Cosa nostra da sempre cerca di annientare o di corrompere. Un semplice affiliato, Di Salvo, che però sperava in un salto di qualità che di fatto non arriva mai. Fino all’arresto e al quasi immediato pentimento.


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