Motel Woodstock, l'ultima pellicola del regista di origini taiwanesi, delude le aspettative. Cliché, superficialità e noia la fanno da padroni, relegando perfino la musica (vera padrona, in teoria, di un film del genere) in un angolo
Il modesto Motel di Ang Lee
Motel Woodstock, l’ultimo film di Ang Lee, non è niente di che: una cosa modesta. La storia si svolge nella provincia americana, nello stato di New York, alla fine dei ‘60, durante la guerra col Vietnam. Il giovane Elliott Theichberg (Demetri Martin) trasforma il cadente motel di famiglia in un ritrovo per hippie e pacifisti che vi accorrono per lo storico megaconcerto, di cui lui si trova ad essere quasi un casuale organizzatore.
La descrizione del mondo hippie è superficiale: capelloni, droghe, libertinaggio, tutte cose già viste. Sulla sponda opposta – contro capelloni, droghe, libertinaggio – una comunità locale combattuta tra rifiuto moralistico di una cosa degenere e lusinga del denaro che una cosa degenere può garantire. Sullo sfondo – unico elemento di acutezza dell’intero racconto – l’onnipresenza (solo a quei tempi?) di uomini in giacca e cravatta, sigaro in bocca e valigetta, pronti a investire montagne di dollari su raduni, festival e ogni evento giovanile e di massa. Sono loro coi loro quattrini, a muovere la macchina dello spettacolo. E’ singolare notare che all’interno del multisala, nel flusso interminabile di pubblicità prima del film, venga promosso il prossimo documentario su Michael Jackson e la sfortunata preparazione degli spettacoli che il cantante americano non ha potuto realizzare.
Ang Lee demitizza e smonta l’idea di una spontaneità assoluta correlata all’universo hippie. Pensare che quelle forme di socialità, di condivisione, di evasione della controcultura americana degli anni ’60 – sembra suggerirci il regista – fossero slegate da calcoli economici, da interessi di pochi e fossero sottratte alle leggi del capitalismo è un’illusione e un inganno. A partire dal racconto un po’ di maniera dei ’60, tra trip d’acido e nuovi costumi sessuali, in Motel Woodstock si fa strada la storia di un ragazzo, il figlio dei proprietari del motel del titolo, alla ricerca della sua identità.
Ma la vera assente di un film noioso e inconsistente, tanto più su Woodstock, è la musica: poche canzoni vengono ripescate e non reperti della grande stagione dei Jefferson Airplane, dei Greateful Dead, di Jimi Hendrix. Pure la scena dell’iniziazione all’acido – immancabile – e che anche un dilettante saprebbe girare in maniera fantasmagorica e avvincente, è scadente. Due, tre minuti di Homer Simpson nella puntata in cui prova il trip restano ancora insuperati.