Mafia, l’inchiesta Orfeo e i segreti della talpa in procura «Rapporti ambigui e confidenziali con una cancelliera»

L’ombra della famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano si è spinta fin dentro agli uffici della procura di Catania di piazza Giovanni Verga. Un particolare che emerge dalle carte dell’inchiesta antimafia Orfeo della scorsa settimana, quando i carabinieri hanno tentato di portare a termine un blitz nel quartiere popolare di Picanello, considerato una delle storiche roccaforti dei successori del capomafia Nitto Santapaola. In sei, tra cui il presunto capo e obiettivo numero uno Giovanni Comis, però non si sono fatti trovare all’appello dei militari scegliendo di consegnarsi spontaneamente alle forze dell’ordine soltanto qualche giorno dopo. Il nome di quest’ultimo, ritenuto il successore nel quartiere di Lorenzo Pavone, è legato al ruolo che avrebbe assunto una dipendente del tribunale di Catania, cancelliera infedele con compiti di ausilio a un lavoro di un magistrato, che adesso è finita tra gli indagati. La donna, in servizio negli uffici giudiziari di piazza Verga, avrebbe rivelato informazioni top secret dopo averle reperite all’interno del sistema informatico della procura etnea. Spifferi che, stando alle indagini, nel 2013 hanno consentito a due uomini del clan, Giovanni Nuccio Costantino e Santo Orazio Laudani, di evitare di essere presi durante un blitz di polizia e carabinieri proprio contro la cosca dei Laudani.

Con lui ho avuto una relazione durata un paio di mesi

Per risalire al presunto ruolo della talpa gli investigatori hanno ascoltato decine di telefonate provenienti dal cellulare di un piccolo commerciante con una bancarella nello storico mercato di piazza Carlo Alberto. Sarebbe stato lui «a mantenere confidenziali e ambigui rapporti» con la dipendente del ministero della Giustizia. Proprio su richiesta dell’uomo l’indagata avrebbe consultato, senza autorizzazione, il registro generale dove vengono inseriti nomi e cognomi delle persone indagate dalla procura. Indagini delicate che dovrebbero rimanere coperte dal segreto istruttorio. Dagli uffici giudiziari non sarebbero però mancati gli spifferi con informazioni riservate, sia sull’inchiesta del 2013, ma anche sull’indagine Orfeo che coinvolge il presunto reggente Giovanni Comis. Il colpo di scena in questa storia arriva all’inizio del 2014 quando la donna viene trasferita dal suo ufficio e si rende conto che il motivo potrebbe essere collegato alle notizie rivelate. Decide quindi di presentarsi nella stanza di Vincenzo Serpotta, magistrato oggi andato in pensione, per assumersi le sue responsabilità e confessare tutto.

«Sapendo di avere fatto alcuni accessi senza autorizzazione e temendo che qualcuno lo potesse scoprire ho controllato il registro – si giustifica la donna -, leggendo il mio nominativo». Durante il colloquio con il magistrato vengono ammesse anche altre consultazioni con relative diffusione di notizie: «Voleva sapere se erano soggetti con problemi con la giustizia e dopo che ho controllato gli ho fornito solo il nominativo richiesto. Ma sono stata evasiva perché si trattava di un procedimento della Direzione distrettuale antimafia. Ricordo che poi la misura è stata eseguita nei confronti del gruppo della stazione». La cancelliera spiega anche i dettagli del suo rapporto con l’uomo che chiedeva continui controlli nei terminali della procura. «Ho avuto una relazione sentimentale durata un paio di mesi, poi è continuata l’amicizia e ricordo che un paio di anni fa gli ho prestato dei soldi che non mi ha mai restituito». In questa storia, leggendo tra le righe dell’ordinanza, emergono anche le presunte minacce di morte da parte di Comis all’amico della cancelliera, l’uomo che faceva da tramite per le informazioni riservate ma che a un certo punto non sarebbe più riuscito a ottenerle. 

Prima di consegnarsi alle forze dell’ordine, Comis sarebbe stato «uno degli uomini di maggiore spessore criminale in libertà». Arrivata la scarcerazione, dopo aver trascorso 13 anni dietro le sbarre con una condanna passata in giudicato sulle spalle, avrebbe riassunto il ruolo di capo dei Santapaola nel quartiere di Picanello. Ad accusarlo ci sono numerosi collaboratori di giustizia tra cui Davide Seminara: «Si occupava di qualsiasi affare illecito che riguardasse il suo gruppo e dava disposizioni anche in merito al traffico di stupefacenti». 


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