Ragazzini scomparsi da Casteldaccia 25 anni fa «Improbabile il legame con i resti di Roccamena»

«Dobbiamo scappari i casa». L’aveva detto il dodicenne Mariano Farina, e alla fine, forse, ci era anche riuscito. È il 31 marzo 1992 quando la famiglia e gli amici di pallone lo vedono per l’ultima volta. A sparire da Casteldaccia con lui quel giorno è anche il quindicenne Salvatore Colletta: un ragazzino mite, timido, che non sa dire di no. I due frequentano la stessa scuola, ma non si trovano in classe insieme. Ora sono trascorsi 25 anni dalla loro scomparsa e sembra essersi riaccesa l’attenzione sul caso. 

Ciò si deve alla scoperta di alcuni resti umani in una caverna a Roccamena, lo scorso ottobre. Sarebbero dieci adulti e due ragazzini. Un cimitero di mafia, lo hanno definito gli inquirenti, con cui il collegamento, tuttavia, appare debole oltre che spaventoso. «Gli inquirenti dicono che quei resti risalgono agli anni ’60-’70, quindi io spero che non si tratti di loro. Certo, è tutto da vedere, io mi sono già sottoposta al test del dna, adesso aspetto una risposta dai carabinieri di Monreale per un eventuale confronto».

A parlare a MeridioNews è Carmela La Spina, mamma di Salvatore. Diversamente dalla famiglia Farina, che da circa vent’anni vive negli Stati Uniti, lei e il marito sono rimasti a Casteldaccia e il lungo tempo senza risposte non sembra avere scalfito le loro speranze. «Quello che è successo da quel giorno in poi io non lo so, ma so che Mariano cercava qualcuno con cui scappare di casa – racconta – Giorni prima aveva tentato di convincere un altro mio figlio, Ciro, che però spaventandosi ci avvisò subito». La famiglia, allora, allertò anche il padre di Mariano,che però prese il racconto del ragazzino alla leggera. «No vabè, ma che vai pensando che lo fanno davvero?», si sentì rispondere infatti Carmela. Si pensò a una bravata, a una fantasia da ragazzini. «Ma neppure 15 giorni dopo Mariano è sparito con l’altro mio figlio».

«Salvatore era un tipo troppo ingenuo, troppo buono, si faceva trasportare facilmente. È stato coinvolto», dice. Si allontanava da casa soltanto per un’ora al giorno, dalle 16 alle 17, per giocare a pallone, che era la sua grande passione. «Le indagini dei carabinieri sono state poche». Subito iniziò a circolare l’ipotesi di un coinvolgimento della mafia. Nei villini sul lungomare di Casteldaccia abitavano all’epoca boss del calibro di Michele Greco, Masino Spadaro e Filippo Marchese. Le cronache raccontano di summit avvenuti anche alla presenza di Bernardo Provenzano. È in una di queste ville che vengono ritrovati dei succhi di frutta vuoti, che però non vengono inseriti fra i reperti del caso. «Perché nessuno li ha mai analizzati per capire se esisteva un legame o meno fra i bambini e certi ambienti? Sono troppo arrabbiata per questo». Di fatto, ad oggi nulla prova che la sparizione dei due ragazzini possa avere a che fare con la mafia. Resta solo un’ipotesi. «C’è stata una volta la moglie di un pentito che ha detto che si trovavano seppelliti in un muro a Bagheria, ma i Ris non hanno mai trovato nulla – rivela la donna – Non era in buoni rapporti col marito, potrebbe aver inventato tutto solo per una qualche ritorsione contro di lui. Insomma, ci scherzano pure sopra questa cosa, va».

Giovanni Montalto, all’epoca poco più grande, li aveva lasciati col motorino in contrada Gelso lì a Casteldaccia, era stato Mariano a dirgli di farli scendere là, rivelandogli che voleva scappare di casa. «La pista che ho sempre ritenuto più plausibile negli anni è quella nomade – ipotizza – Abbiamo ricevuto tantissime segnalazioni in tal senso». A rafforzare questa teoria sono anche due avvistamenti. A soli 15 giorni dalla scomparsa, mentre percorre la statale 113 all’altezza di San Nicola, Carmela scorge Mariano in un campo nomadi, ma non fa in tempo ad accostare e a scendere dall’auto che il bambino scappa. A pochi giorni di distanza tocca a Italia, una ragazzina di Termini Imerese amica d’infanzia di Mariano. «Che ci fai qui? Ti stanno cercando tutti, perché non torni a casa?», gli chiede. «Non posso – risponde lui – fai sapere alla mia famiglia che stiamo bene, poi mi faccio sentire io». È con dei nomadi in un campo nei pressi di Termini, vicino al porto. La ragazzina vede anche Salvatore, «stava entrando un tavolino dentro a una roulotte», poi denuncia quanto visto, descrive i due bambini, il loro aspetto, i loro vestiti. I carabinieri in quel campo ci vanno il giorno dopo, ma non trovano nulla. Di lì a poco la famiglia è ospite nel programma di Rai3 Chi l’ha visto, lo stesso che poche settimane fa ha rilanciato l’appello e ripercorso la storia dei due ragazzini. Seguono moltissime segnalazioni da Roma e Monterotondo: «La cosa era ancora freschissima, si poteva fare qualcosa, ma da parte di carabinieri e magistratura zero». L’inchiesta si è riaperta di nuovo alcuni anni fa, ma senza portare a un lieto fine: «Io vorrei che cercassero e interrogassero tutti quei ragazzini che quel pomeriggio di marzo erano con mio figlio e Mariano a giocare a pallone, quelli che adesso sono adulti e padri di famiglia – continua – Non interrogati a uno a uno ma tutti insieme, in modo da realizzare un confronto e vedere se esce fuori qualcosa».

Tra questi c’è Vincenzo Rosselli, che all’epoca racconta di avere dato ai due ragazzini una coperta in vista della fuga. Un altro è Vittorio Grande, che giorni dopo dice che aveva saputo dove dovevano andare. E ancora, Ignazio Farina, fratello di Mariano, al corrente del progetto di scappare di casa, ma che ne parla a sparizione ormai avvenuta. «La mafia non c’entra niente – conclude Carmela – A meno che non abbiano visto qualcosa, ma mi pare strano, non è che si ammazza un bambino perché guarda dentro a un cancello oppure perché lo varca. No, non ci credo».


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