Guido Li Volsi è stato eletto a capo di una delle più grandi facoltà dellAteneo, Scienze matematiche fisiche e naturali. Un compito arduo, ma con unattenzione particolare rivolta ai suoi allievi
«Il Preside degli studenti»
E’ stata l’elezione più combattuta. Il nome del nuovo preside è uscito solo alla quinta votazione, quando già si affacciava il rischio di dover azzerare la procedura ed indire nuove elezioni. Forse proprio l’incertezza dell’esito e la durata della contesa adesso spinge tutti a sottolineare che s’è trattato di un confronto leale.
Il tono del neo-eletto preside della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali è fortemente istituzionale: «Il professore universitario – esordisce – è pur sempre un impiegato di questo Paese che deve lavorare per il Paese e deve farlo bene. Il suo lavoro consiste nel formare persone di qualità. Questo ce lo dovremmo ricordare. È lo studente che ci dà da vivere, va curato e tenuto in grande attenzione. Desidero che i miei allievi, quando saranno affermati, possano dire che sono fieri di aver frequentato la facoltà di Scienze». Insomma, il neo-eletto preside della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali, ha risposto alle domande di Step1 con molta cautela, ribadendo alcuni punti fermi (pochi ma buoni, si direbbe): l’attenzione per gli studenti e il rispetto dei ruoli. Pur nella consapevolezza che la gestione di una facoltà comporta inevitabilmente un’impronta personale.
Quali sono i problemi più urgenti che la facoltà di Scienze deve affrontare?
«Il problema più immediato è quello dell’applicazione dei nuovi percorsi formativi: sono già stati organizzati, però bisogna passare alla fase operativa. L’altro problema urgente riguarda le risorse, perché a fronte dei pensionamenti si va ad un ritorno solo parziale dei budget. Ci saranno delle difficoltà, però ho invitato i miei colleghi ad andare avanti per come sappiamo fare noi, senza dimenticare il nostro ruolo. Non sarà la carenza di soldi che ci fermerà. E poi voglio occuparmi degli studenti, dei fuorisede».
Come?
«Spesso occupano residenze poco dignitose. La loro condizione generale di vita è una cosa a cui tengo moltissimo, vorrei coinvolgere in questa attenzione anche il territorio».
E bypassare l’Ersu?
«No, assolutamente, sono molto attento alla specificità delle competenze. Semplicemente va attuato un maggiore coordinamento. Un preside ha il dovere di verificare che gli studenti della sua facoltà godano di alloggi decorosi e paghino un prezzo che sia proporzionato. Potrebbero essere i nostri figli, o i nostri nipoti. Desidero più attenzione e cercherò di curare questi aspetti».
Come si occuperà degli iscritti?
«Due delegati si dedicheranno agli studenti: uno curerà gli aspetti logistici e l’altro i rapporti con gli allievi».
Parliamo della sua elezione: lei è stato eletto alla quinta votazione, battendo il professor Domenico Sciotto di stretta misura. La Facoltà non ne esce in qualche maniera divisa?
«La spaccatura non esiste, non c’è mai stata. E’ stata una partita di una lealtà unica. Credo che la gente sia rimasta spiazzata dal sincero fair-play che c’era tra me e il mio avversario».
Quindi è per questo motivo che si è arrivati votare cinque volte?
« È chiaro che io potessi risultare antipatico ad alcuni colleghi, lo stesso per il mio ex-avversario. Non mi sono mai sentito turbato dal fatto che io e lui avessimo più o meno gli stessi voti. Ma è un’esagerazione parlare di spaccatura perché, ad elezioni concluse, la Facoltà è tornata alla normalità. Mi auguro che il prof. Sciotto collaborerà, perché ha una “bella testa” come si suol dire».
Torniamo alla domanda iniziale. Scienze è stata una delle tre facoltà dell’Ateneo catanese che si è già adeguata al decreto ministeriale 270. Cosa cambia?
«Abbiamo dovuto tenere conto innanzitutto dell’eterogeneità delle aree scientifiche. I colleghi delle varie aree si sono riuniti e Scienze si è presentata con 23 percorsi (contro i 27 dell’Anno accademico 2007/08, NdR). Per questo risultato devo ringraziare il preside Lo Giudice, i colleghi che si sono curati del problema, l’amministrazione centrale e il Rettore. Abbiamo lavorato con grande serenità, non c’è mai stata nessuna prevaricazione».
Prevede che il numero dei corsi verrà ulteriormente ridotto?
«Noi abbiamo 315 professori, che secondo criteri di valutazione ancora in itinere potrebbero sembrare in esubero. Però bisogna stare attenti alla tipologia del processo formativo: se formo uno studente che deve avere molte competenze di laboratorio, devo tenere anche i professori. Certamente bisogna tenere conto dei pensionamenti, ma il problema è cosa si potrà fare di quello che ritorna dai budget. Se dovremo contrarre, vedremo di ridisegnare e andremo avanti con quello che avremo».
In molte facoltà un grosso problema è l’eccedenza di docenti a contratto: Scienze è in regola con i numeri?
«Siamo la seconda facoltà dell’Ateneo in termini di docenti. Laddove ci sarà l’esigenza di fare contratti li faremo, ma non sono grandi settori perché le competenze le abbiamo. Se proponiamo 23 percorsi è perché abbiamo le forze. E questo non è da interpretare come esubero di docenza, perché per formare un allievo c’è bisogno di un sacco di personale docente».
Si prospetta l’adozione del numero chiuso in tutte le facoltà. Lei è favorevole o contrario?
«Quando si hanno grossi numeri c’è bisogno di grosse strutture e di risorse adeguate. In una classe di 150 persone l’impatto didattico diminuisce fortemente rispetto a una classe di 50. Senza il numero chiuso, in condizioni operative come quelle attuali, secondo me si rischia di rendere la formazione incontrollabile. Non è possibile perseverare con un sistema che non si riesce a gestire neppure logisticamente».
Triennale più master, triennale più specialistica, magistrale più master. Le combinazioni ‘matematiche’ sono parecchie, quale crede sia la migliore?
«Ritengo che i percorsi formativi vadano disegnati in funzione delle risorse del personale e delle esigenze del territorio. Se ne creo uno e non ho riscontro in termini di occupazione, cosa ho fatto?».
Una formazione scientifica che guardi unicamente al contesto economico locale non rischia d’essere troppo limitata?
«C’è un territorio con poche industrie, non ci sono grandi indotti. D’altra parte il laureato non può immaginare la propria vita nel raggio di 100 chilometri da Catania. Il territorio non ha la capacità di assorbire il numero di neolaureati. Si deve perciò immaginare la formazione di figure professionali che poi, presa la laurea, non escludono la possibilità di fare le valigie – con gli occhi più o meno lucidi – per spostarsi altrove. Nel caso di questi percorsi è la qualità della figura professionale l’elemento determinante».
La facoltà di Scienze aveva due corsi decentrati a Siracusa (“Tecnologie applicate alla conservazione ed il restauro dei beni culturali” e “Scienze e tecnologie avanzate applicate alla conservazione ed al restauro dei beni culturali”) oltre a “Informatica applicata” a Comiso. È d’accordo con la recente politica applicata dall’amministrazione nei confronti dei Consorzi morosi?
«Non ho nessuna preclusione per le sedi decentrate, ma ci devono essere le risorse. Il Senato accademico, quando va a progettare un percorso in una sede decentrata, deve tenere conto delle risorse. Se queste cominciano a scarseggiare, o se ci sono problemi per quanto riguarda le garanzie, non si può immaginare di continuare. Per il corso di “Conservazione dei Beni” la scelta è stata sofferta. Siracusa è un laboratorio naturale particolare, questa laurea dovrebbe essere vista con molta attenzione dal territorio. Potrebbe attrarre studenti dall’intero pianeta».
Cosa ha in mente per promuovere la diffusione della cultura scientifica?
«E’ uno dei punti principali del mio programma. Spero di mettere su un “Caffè delle scienze”, di cui siano protagonisti i nostri allievi. Immaginate di andare in un bar e di trovare lì dentro una decina di studenti della facoltà di Scienze che parlano di un determinato problema visto da varie sfaccettature. L’allievo così si sente importante, stimolato, si autocatalizza, rende di più… Si crea un fenomeno, un’esplosione termonucleare. Il pubblico comune si fermerebbe più volentieri davanti a un gruppo di studenti, piuttosto che davanti al professore che viene a proporti la classica conferenza. L’abbiamo già sperimentato al salone dello studente: i migliori interlocutori sono gli stessi studenti. Quindi bisogna far circolare le scienze, ma senza che ciò sia visto in chiave di promozione della Facoltà. L’università non deve promuoversi come una qualsiasi merce, non ha nulla da vendere. L’università dovrà essere sempre di più il luogo d’attrazione naturale per chi ha curiosità per le scienze».