Aligrup, ascesa e declino del colosso di Scuto Dalle inchieste per mafia all’azienda svuotata

Amministratori giudiziari nominati dallo Stato che avrebbero gestito i beni facendo gli interessi dell’ex proprietario coinvolto in processi per mafia. Ecco, in breve, cosa ci sarebbe dietro l’inchiesta crac Aligrup della Guardia di finanza, che ha portato a un decreto di sequestro da 19 milioni di euro e all’iscrizione nel registro degli indagati di nove persone. Tra di loro, oltre all’ex re dei supermercati Sebastiano Scuto, ci sono la moglie Rita Spina, il figlio della coppia Salvatore Scuto e il fratello della donna, Domenico Spina. A fare rumore però è soprattutto il coinvolgimento dei tre professionisti che si sono alternati nella gestione dei beni del colosso della grande distribuzione, su mandato del tribunale di Catania. Si tratta del professore ordinario di Diritto tributario a Unict e amministratore unico della partecipata etnea Pubbliservizi Salvatore Muscarà, del noto avvocato e docente in pensione di Diritto civile sempre dell’ateneo di Catania Carmelo Lazzara e del commercialista Angelo Giordano. Professionisti di primo piano che secondo i magistrati Alessandra Tasciotti e Fabio Regolo dal 2005 al 2013 avrebbero «distratto, dissipato e occultato» le risorse finanziarie della Aligrup, svuotando l’azienda del suo patrimonio e consentendo alla famiglia Scuto di ottenere guadagni enormi.

«Una vicenda molto complessa», l’ha definita il procuratore capo Carmelo Zuccaro in conferenza stampa, che poteva essere ancora più pesante con le ipotesi di corruzione e peculato: «Reati ipotizzabili ma il materiale raccolto, considerato il lungo periodo interessato, non è stato sufficiente per le contestazioni». Per capire da dove nasce questa vicenda bisogna andare indietro almeno fino al 2001 quando l’azienda di Scuto viene sequestrata e finisce in amministrazione giudiziaria a causa dei problemi con la legge del suo proprietario, finito in manette con l’accusa di associazione mafiosa. Nato con una piccola bottega a San Giovanni La Punta in alcuni decenni aveva già scalato i vertici della grande distribuzione in Sicilia, guadagnandosi l’appellativo di re dei supermercati sotto il marchio Despar

Per i magistrati non sarebbe un self made man ma un beneficiario dei soldi del clan mafioso di Cosa nostra dei Laudani che, secondo l’accusa, avrebbe foraggiato l’imprenditore in maniera continuativa negli anni, almeno dal 1987. Nel 2012, quando Aligrup già arranca pesantemente e il futuro dei 1600 dipendenti è a tinte fosche, si conclude il processo di primo grado con la condanna a quattro anni e otto mesi e il sequestro del 15 per cento dell’azienda. Un numero a cui si arriva dopo una nebulosa offerta di acquisto di alcune quote da parte di Soipa spa. Una proposta che, secondo la procura generale, celerebbe l’interesse di Scuto a rientrare in possesso di parte dell’azienda e su cui i giudici hanno a lungo discusso nei vari gradi del procedimento. Per poi confermare la percentuale di confisca nel successivo processo d’appello.

Le società finite nel mirino dell’inchiesta di oggi, tutte riconducibili alla galassia Scuto, avrebbero avuto rapporti commerciali anomali con Aligrup. Sotto la lente d’ingrandimento sono finite l’apertura di nuove filiali, l’acquisto di merce a prezzi triplicati e vendite a prezzi dimezzati. In questo modo i debiti della società in amministrazione giudiziaria sarebbero aumentati da 20 a 60 milioni di euro. Tra le varie condotte distrattive ci sono quelle che avrebbe effettuato la Fruttexport, in cui figurano Rita Spina, moglie di Scuto, e il fratello amministratore unico Domenico Spina. L’azienda si sarebbe occupata di forniture di prodotti ortofrutticoli a prezzi sopra la media. La donna compare anche nella Cedal, che durante l’amministrazione giudiziaria acquista da Aligrup un immobile alla cifra di tre milioni di euro. Sempre alla famiglia Scuto farebbero riferimento le società Global Service, Deteritalia e K&K. In quest’ultima azienda il titolare di alcune quote risulta essere lo stesso Scuto e il figlio Salvatore. Proprio la K&K avrebbe beneficiato da Aligrup di forniture di prodotti alimentari e detersivi a prezzi super scontati. L’azienda è stata anche citata più volte dai magistrati durante il processo per l’espansione territoriale dell’imprenditore puntese in provincia di Palermo. Tra i soci di Scuto ci sarebbe stato pure Vincenzo Milazzo, su cui il pentito di San Catalado Leonardo Messina ha rivelato l’appartenenza alla stessa loggia massonica di Piddu Madonia, boss condannato all’ergastolo per la strage di Capaci.

Nella lista degli indagati dell’inchiesta sul crac Aligrup ci sono anche Carmelo Frasca e Filippo Tomarchio. Il primo amministratore unico del Lanificio Ragusa Coniugi Frasca e il secondo liquidatore di Deteritalia. La vicenda giudiziaria di Scuto, inserita nel cosiddetto Caso Catania, dopo il processo di primo grado, è approdata per ben due volte in appello. Nel 2013 viene condannato a 12 anni, la Cassazione annulla con rinvio ma in secondo grado, nell’ottobre 2015, arriva una nuova condanna a 8 anni. I giudici ermellini però non sono ancora convinti e nel 2016 rimandano l’esito a un nuovo processo da celebrare davanti a una nuova corte. 


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