Il sequestro disposto nel 2012 dall'ex presidente Silvana Saguto si tramuta adesso in confisca: sei in tutto le aziende a cui sono stati apposti i sigilli, per un valore totale di circa 210milioni di euro. Secondo gli inquirenti sarebbero numerosi «gli elementi che attestano il suo pieno inserimento in quell'area di vicinanza a Cosa nostra»
Confiscato l’impero del re dei detersivi «Appartenenza mafiosa da inizio carriera»
Continuano i guai per l’imprenditore sessantatreenne Giuseppe Sammaritano: disposta dalla sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, presieduta da Giacomo Montalbano, la confisca per sei aziende del suo impero fondato sulla grande distribuzione dei detersivi, per un valore di circa 210milioni di euro. Confisca che va a confermare il sequestro deciso nel 2012 dall’allora presidente Silvana Saguto e dagli amministratori giudiziari Fabio Licata e Lorenzo Chiaramonte, entrambi coinvolti nelle indagini sulla giudice. A questo, si aggiunge anche la misura della sorveglianza speciale con l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza per due anni. Sammaritano non era nuovo a indagini da parte della procura: già nel 2007, dopo aver negato di essersi piegato al ricatto estorsivo del pizzo, aveva rimediato una condanna a quattro mesi per favoreggiamento, poi commutata in una multa di cinquemila euro.
Le indagini del Gico del nucleo di polizia tributaria di Palermo, coordinate dal pm Pierangelo Padova, hanno scavato nel patrimonio di Sammaritano, la cui attività imprenditoriale è stata per anni sotto la lente degli investigatori. Secondo loro, infatti, il successo economico di quello che era considerato il re dei detersivi sarebbe stato agevolato quasi esclusivamente dalla sua «appartenenza mafiosa, già all’inizio della sua carriera». Sarebbero numerosi, infatti, «gli elementi che attestano il suo pieno inserimento in quell’area di vicinanza al sodalizio mafioso».
Sproporzionati, secondo gli inquirenti, i titoli e la disponibilità di denaro riconducibili all’imprenditore e ai suoi familiari rispetto al reddito ufficialmente dichiarato o in relazione all’attività economica. L’analisi dei beni aziendali è iniziata dalla Sammaritano Giuseppe sas, la prima ad essere stata fondata dall’imputato, di cui era socio insieme alla moglie, Maria Grazia Moschera. Poi è stata la volta della Max Gross srl, seguita a ruota dalla Sicilprodet srl, dalla Angelo Sammaritano – di proprietà del figlio, che l’avrebbe fondata appena diciottenne, e di fatto riconducibile allo stesso Giuseppe -, e ancora dalla Sicil Prodet spa e dalla Fratelli Sammaritano srl.
Secondo i magistrati, visto l’atteggiamento di Sammaritano accertato nei confronti della mafia carinese e le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia «l’ingiustificata provenienza dei beni sequestrati che i periti hanno rilevato è a buona ragione determinata dall’illecità provenienza dei capitali con cui sono stati acquistati», in maniera diretta o derivata. Per questo è stata disposta la confisca di tutti i beni a cui in precedenza erano stati posti i sigilli, anche quelli non formalmente intestato allo stesso Sammaritano, ma a membri del nucleo familiare che «non avevano risorse autonome per permettersi il loro acquisto».