S. Bambino, protesta contro obiezione di coscienza Le rebeldesse: «È inaccettabile la sua diffusione»

«Noi ci autodeterminiamo, la 194 (legge sull’aborto, ndr) non si tocca». Uno striscione steso davanti all’ospedale Santo Bambino di Catania sintetizza l’obiettivo della protesta promossa ieri contro l’obiezione di coscienza. A co-organizzarla il gruppo femminista Le rebeldesse, Città felice, La ragnatelaRivoltaPagina, Queers e Open mind. A determinare la manifestazione «organizzata in maniera quasi selvaggia, senza richiesta di autorizzazione alla questura» è la morte di Valentina Milluzzo, la donna deceduta all’ospedale Cannizzaro insieme ai due gemelli che portava in grembo da cinque mesi. Un caso per cui i familiari della vittima hanno denunciato la «sospetta negligenza» dei sanitari, dodici dei quali del reparto di Ostetricia e ginecologia risultano iscritti nel registro degli indagati dalla procura etnea. I cui specialisti scelti per fare luce sull’episodio di presunta malasanità hanno escluso legami tra il decesso dei tre pazienti e l’esercizio dell’obiezione di coscienza dei medici che li avevano in cura. 

Una versione che però non ferma l’azione degli attivisti e delle attiviste. Sono state Le rebeldesse, lo scorso martedì, a convocare un’assemblea organizzativa alla quale hanno partecipato tutte le anime dei femminismi catanesi e dell’attivismo cittadino, sia come gruppi sia a titolo personale. Il risultato è stato una mobilitazione, ieri mattina, per «fare sì che la morte di Valentina, la giovane donna deceduta anche a causa del rifiuto degli obiettori di coscienza del Cannizzaro di praticare un aborto terapeutico, non passi sotto silenzio», si legge in una nota. E per ribadirlo si sono raccolte ieri circa trenta persone davanti al Santo Bambino di Catania, struttura in cui «solo due medici su 24 non sono obiettori».

E lì davanti attiviste e attivisti hanno urlato slogan e distribuito volantini ai residenti del quartiere, alle auto in transito e pure ai sanitari del nosocomio. «L’obiezione si estende con tassi significativi anche agli anestesisti, al personale non medico e anche ai farmacisti che si rifiutano di vendere la pillola del giorno dopo – si legge nel documento – Tutto ciò è inaccettabile perché sul proprio corpo devono decidere le donne e non i medici».

L’idea del gruppo adesso è quella di fare in modo che non si spengano più i riflettori sul tema dell’obiezione di coscienza anche perché «proprio l’articolo 9 della legge 194 dice che l’obiezione non può essere invocata dal personale sanitario quando, data la particolarità delle circostanze, il loro intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo», si legge nel comunicato diffuso da Officina rebelde. Tra i propositi c’è anche di partecipare alla manifestazione nazionale intitolata Non una di meno che si terrà il 26 novembre a Roma. «Sarà un grido contro la violenza sulle donne di cui l’obiezione è un aspetto», sostengono le manifestanti. 

A proporre la protesta di ieri anche Città felice, La ragnatela e RivoltaPagina. Ma pure l’attivismo Lgbti e queer (Queers e Open mind), assieme a studenti medi e universitari, centri sociali e gruppi politici. Partendo da Rifondazione, passando da Catania bene comune e arrivando fino al gruppo anarchico catanese. «Il presidio è stato una bellissima occasione per mostrare la vitalità indomabile del femminismo, quando le diverse forze al suo interno convergono su una lotta comune com’è la difesa della 194 – dichiara Stefania Arcara, docente di Gender studies all’università di Catania – E quando con le forze del femminismo si alleano quelle di altri attivismi politici che sentono questi temi come condivisi e con come una roba da donne. Questo ci dà speranza, in un momento storico in cui si assiste al tentativo sempre più pressante di espropriare e controllare i corpi femminili».


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