In manette sono finiti i luogotenenti del capomafia. Si tratta di Carmelo Occhione e Giovanni Motta. Tra le attività del clan, attivo nella zona del Traforo, il recupero crediti per conto di un gioielliere ma anche dei furti eseguiti fuori provincia. «Nelle intercettazioni il bersaglio piangeva», spiega la procura. Guarda foto e video
Target, nel mirino i referenti di Nuccio Mazzei «Minacciavano vittima di scioglierla nell’acido»
Centrato l’obiettivo della cattura del latitante Nuccio Mazzei, ormai da mesi recluso al carcere duro, il clan dei Carcagagnusi stava cercando di riorganizzarsi. Secondo gli inquirenti il ruolo di reggenti, subito dopo l’arresto del capo, sarebbe toccato a Carmelo Occhione e Giovanni Motta. Sono questi due i nomi caldi dell’operazione antimafia Target, conclusasi oggi con gli arresti della polizia. Sedici le persone accusate a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, furto, ricettazione, esercizio arbitrario delle proprie ragioni, favoreggiamento e falso con l’aggravante di avere sostenuto Cosa nostra. Nel mirino degli inquirenti, per un periodo compreso tra febbraio e luglio 2015, è finita anche Gioacchina Fiducia, vecchia conoscenza delle forze dell’ordine in passato beccata con armi e droga, pare in custodia per il gruppo del clan Mazzei. La donna questa volta si sarebbe occupata, secondo gli inquirenti, della latitanza di Mazzei all’interno di una villetta nel territorio di Ragalna. Il boss è stato arrestato il 10 aprile 2015.
Il gruppo del Carcagnuso avrebbe cercato di mantenere il suo dominio nel quartiere del Traforo, a San Cristoforo. Da sempre via Belfiore è la roccaforte del clan ed è qui che Occhione e Motta avrebbero mantenuto la «piena operatività». Il primo dei due è stato coinvolto anche nell’operazione Nuova famiglia. Tra i suoi compiti ci sarebbe stato anche quello di mantenere i rapporti con gli altri clan. A fare il suo nome in passato è stato il collaboratore di giustizia Davide Seminara, indicandolo come partecipe a una riunione che si sarebbe svolta al viale Moncada con la cosca dei Nizza per «mettere sotto estorsione tutti i banchi del mercato ortofrutticolo». Non solo affari ma anche contrasti: «In un caso un cugino di Andrea Nizza (ritenuto il vertice della famiglia di Cosa nostra nel quartiere di Librino, ndr), proprietario di un chiosco bar mobile, aveva un debito con Occhione di cinque mila euro e Occhione disse ad Andrea che o gli davano i soldi o lui si prendeva il chiosco bar. Ricordo – ha messo a verbale Seminara – che la cosa fu sistemata perché Andrea fece avere ad Occhione una macchina per sistemare la cosa».
«L’operazione Target è stata un’inchiesta breve e serrata perché vogliamo evitare il consolidamento di determinate persone nel territorio», spiega in conferenza stampa il procuratore capo Carmelo Zuccaro. Accanto a lui ci sono i magistrati della procura di Catania che hanno seguito il caso: Rocco Liguori e Giuseppe Sturiale. Le attività del clan si sarebbero estese anche fuori provincia, tra Siracusa e Augusta. Sono infatti due i furti con spaccata che avrebbero messo a segno i picciotti di Mazzei. Il primo in un negozio di occhiali, dal quale vennero portati via 4812 paia di prodotti, e l’altro ai danni di una rivendita di abbigliamento tramite l’utilizzo di una auto ariete.
Tra gli episodi ricostruiti c’è anche quello riguardante una presunta azione di recupero crediti. A chiedere l’aiuto al clan sarebbe stato un gioielliere di Catania, ma il giudice ha derubricato il reato da estorsione a esercizio arbitrario delle proprie funzioni con violenza e minaccia. La vittima dell’accordo tra clan ed esercente, secondo gli inquirenti, sarebbe stato il ragioniere che si occupava dei conti del negoziante, reo di non avere versato i soldi della dichiarazione dei redditi. Per convincerlo a tornare i soldi il clan lo avrebbe minacciato pesantemente, anche attraverso l’utilizzo del telefono. «Gli dicevano che lo avrebbero sciolto nell’acido – conclude Liguori – e la vittima è arrivata a piangere per scongiurare questa eventualità». Durante la fase investigativa, il 10 maggio 2015, le forze dell’ordine riuscirono a sequestrare anche alcune armi. A conservarle sarebbe stato Rosario Seminara. L’uomo aveva una pisola e una mitraglietta entrambe con matricole abrase oltre a numerose munizioni.