Una mega installazione nello Stagnone di Marsala per sensibilizzare al tema dell'inquinamento ambientale. Opera della designer Maria Cristina Finucci. «Ci sono 16 milioni di km quadrati di plastica che non vediamo, perché il materiale viene disgregato dall’acqua, diventando piccolissimo». Guarda le foto
Mozia, scritta denuncia Help con cinque milioni di tappi «Negli oceani grandi isole di plastica che non vediamo»
Una meravigliosa isola incontaminata e un’enorme scritta, Help, visibile dall’alto. Non sono i riferimenti al noto film Cast Away, ma all’ultimo atto di un progetto artistico e ambientale avviato nel 2013 dall’architetto e designer Maria Cristina Finucci, originaria di Lucca ma molto legata alla Sicilia.
L’artista, famosa per i suoi lavori realizzati nelle maggiori capitali del mondo, ha portato a Mozia una nuova e monumentale istallazione per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’inquinamento del nostro pianeta. Ben cinque milioni di tappi di plastica colorata, assemblati da trame metalliche in modo da formare enormi lettere tridimensionali alte quattro metri per un’estensione totale di circa 1.500 metri quadrati, che vanno a formare la scritta Help. Un grido che viene lanciato dalla terra, sommersa dalla plastica; una richiesta d’aiuto visibile fino al prossimo 8 gennaio a chi sorvola la laguna dello Stagnone di Marsala, soprattutto la sera, quando ogni lettera viene illuminata.
Un’idea forte, provocatoria: l’isola è un museo archeologico a cielo aperto, continuamente interessato da scavi e ricerche, soggetto a rigidi vincoli paesaggistici. Proprio per questo sono state necessarie specifiche autorizzazioni da parte della Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Trapani. «È bene chiarire che tutto è stato fatto seguendo le regole, dopo un’attenta valutazione – dichiara Rossella Giglio, dirigente della sezione Beni Archeologici –. I tappi utilizzati sono compattati da gabbie di metallo, mentre i blocchi che compongono le lettere sono poggiati a terra. I luoghi, dunque, sono stati tutelati e non verranno violati. Questa iniziativa – conclude Giglio – può richiamare ancora più attenzione su Mozia, dove si lavora insieme all’università di Palermo e La Sapienza di Roma con attività che includono l’applicazione di nuove tecnologie».
Quella di Mozia è l’ultima tappa del progetto Wasteland, una nazione ideale costituita da rifiuti, che l’11 aprile 2013 è stata riconosciuta dall’Unesco e ha una sua bandiera e persino delle leggi e una costituzione. Un progetto artistico molto ampio e ben collaudato, le cui tappe precedenti e più importanti, con diverse istallazioni, sono state la Biennale d’Arte di Venezia, il Maxxi di Roma, il Cop 21 a Parigi ed Expo Milano 2015. Fondamentale è stato il supporto della fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo, che ha suggerito il luogo per la realizzazione dell’opera, e la fondazione Whitaker, che ha dovuto dare le prime autorizzazioni.
«Ho ideato e creato questo Stato per provare a far fronte a un problema che riguarda tutti, l’inquinamento ambientale – spiega Finucci –. Una nazione apparentemente immaginaria ma in realtà concreta, perché formata dalla plastica dispersa negli oceani, divisa in cinque grandi isole, le Garbage Patch. Secondo l’agenzia ambientale governativa americana Noaa, la loro superficie totale è di ben 16 milioni di chilometri quadrati, che però difficilmente riusciamo a vedere. Questo accade perché il materiale plastico viene corroso e disgregato dall’acqua, diventando piccolissimo. Difficile, di conseguenza, far conoscere e capire il problema alle persone, perché si parla di qualcosa che non si vede. Non sono una scienziata che parla del fenomeno in sé – continua l’artista –, ma metto la mia arte al servizio di tutti, perché al giorno d’oggi un artista non può essere autoreferenziale ma deve veicolare messaggi socialmente utili. La plastica, scambiata per cibo da pesci, tartarughe ed altri esseri viventi marini, presto o tardi ritorna a noi».
Per quanto riguarda la tappa di Mozia, Finucci sottolinea che «nell’Isola creo un immediato contrasto visivo e concettuale tra le millenarie rovine fenicie e i rifiuti più diffusi della società contemporanea, che da fenomeno sfuggente si concretizza in un luogo, segnala la presenza di un vero e proprio Stato che non vediamo ma c’è. Coniugando queste tematiche al territorio, all’arte e all’archeologia, voglio coinvolgere l’opinione pubblica, far emergere un problema che solo materializzandosi può far accorgere della minaccia che abbiamo di fronte». L’installazione Help, è affiancata da una pubblicazione, curata da Giuseppe Barbieri e Silvia Burini (edizioni Terraferma), che contiene i testi critici dei curatori e le immagini degli allestimenti nell’Isola.