Girando per la facoltà come un turista

Girando per la facoltà come un turista, ignorando il malinconico distinguo tra lettere e lingue, mi capita di incontrare dei turisti veri. Sono persone per lo più non giovanissime, che si guardano attorno con garbo e curiosità, lontani da suggestioni modaiole calzano scarpe funzionali e sono attrezzati con abbigliamento adeguato alle evenienze del viaggiatore. Può capitare che debbano rispondere a impellenze fisiologiche anche se io mi auguro sempre che ciò non accada. Mi hanno anche chiesto del bagno e io non me la sono sentita di rispondere che da noi non ci sono bagni ma orride cabine elettorali per gente forte di stomaco. Poi il turista scatta una foto ed è fondamentale, come consiglierebbe il collega Ruggeri, eleggere un punto macchina dal quale fare click…ma ci sono le auto parcheggiate all’interno e le foto vengono male. Volendo, si potrebbe stipulare una convenzione abusiva con i parcheggiatori abusivi all’esterno del complesso, per delimitare con strisce dorate un’area destinata al parcheggio di quella dozzina di persone alle quali è sacrosanto accordare dei privilegi connessi ad un certo ruolo o ad un certo status.

Sempre quel turista che mi capita di incontrare potrebbe avere sete. Noi abbiamo un bar interno. Ma siamo sicuri che bar sia il termine giusto per un luogo così sconfinatamente triste e sciatto che ammannisce bevande senza storia e dolci ripieni di malinconia? Forse, all’interno del bar il turista pensa di trovare delle riviste dal sapore internazionale o dei quotidiani con le bacchette di legno appesi in una rastrelliera come in qualsiasi circolo di lettura. Ma da noi non è così. Vagando nei corridoi il turista è condannato all’alienante teoria di pareti bianche e vuote. Fosse dipeso da lui avrebbe decorato tanto nobile spazio con una partita di quei quadri rimasti ad ammuffire nei perduti scantinati del Castello Ursino o d’istituzioni analoghe. Certo occorrerebbe, a protezione di ogni opera, una cordonatura rossa sorretta da colonnine dalla testa d’ottone. Non sarebbe male quest’idea del turista. La moglie del turista, invece, essendo una signora inglese, avrebbe volentieri siglato un accordo con un buon vivaista per realizzare un’esposizione permanente di piante, una sorta di showroom floreale dove il pubblico intanto vede e poi (magari altrove) compra. Ma poi mi dico: che ne sanno i turisti di un’università che è molto abituata a spendere e poco avvezza a guadagnare?

Il complesso dei Benedettini non è un sito ma una marca. La tutela dell’identità è premessa al valore non solo culturale ma anche commerciale. Senza sensibilità commerciale non c’è capacità di fissare obiettivi e mobilitare interessi. Resta, al solito, il lamento per l’incuria di chi astrattamente dovrebbe tutelare storia, arte e cultura e non è capace di farlo. ”Il pistolotto moralistico della serie ragazzi mi raccomando va fatto dopo”, ricordavo a un collega (mezzo francese…). Lui subito si è allargato: “pensa …una libreria, un club interno per i docenti (con annessa caffetteria), un’agenzia viaggi…”. Al meglio non c’è fine.


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