Il volto inedito dell'investigatore della squadra mobile di Palermo che la giornalista e scrittrice Alessia Franco ha scelto di mostrare nel suo ultimo libro dove la dimensione sociale si fonde con quella più intima del padre innamorato della vita, restituendoci l'immagine di un commissario cantastorie
Giorgio Boris Giuliano e la sua ultima favola «Cercava una storia diversa per Palermo»
Tutti conoscono l’immagine del raffinato investigatore della squadra mobile di Palermo Boris Guliano ucciso dalla mafia. Ma pochi, pochissimi, quella di Giorgio, il suo primo nome con il quale, lontano dalle lotte di mafia e dalla ribalta dei giornali, era conosciuto e amato dai suoi cari, la moglie Maria e i tre figli Selima, Emanuela e Alessandro. E così Boris o, ancora meglio, lo sceriffo, come con affetto lo avevano ribattezzato i cronisti del tempo, appena varcata la porta di casa smetteva i panni del poliziotto e indossava quelli del padre affettuoso e amorevole. Quelli di Giorgio che amava raccontare le storie e spesso cambiarne il finale, coinvolgendo anche gli altri in questo processo. Una ritratto inedito che la giornalista e scrittrice Alessia Franco ha scelto di raccontare nel suo ultimo libro Raccontami l’ultima favola, dove la dimensione più sociale di Boris si mescola con quella più intima di Giorgio, restituendoci l’immagine di un commissario cantastorie.
Edito da Mohicani Edizioni – sarà presentato ufficialmente il 9 giugno all’Orto botanico di Palermo alle 19,30 – il suo racconto per ragazzi, così preferisce definirlo, nasce dall’incontro con la figlia di Giuliano, Selima, conosciuta per motivi di lavoro ma con il tempo diventate amiche per il suo carattere che «non le manda a dire e che poi ho capito da chi avesse preso: oltre al cognome, a tradirla una somiglianza strettissima». Alessia decide così di raccontare la storia di Giorgio Boris Giuliano, non quella conosciuta da tutti del superpoliziotto che segue le tracce della droga dalla Sicilia all’America, ma del padre con un viscerale amore «per la legalità e la gioia, del profondo rispetto per gli altri, per la vita e per i bambini, non solo per i suoi figli». Nel libro, un omaggio al Giorgio affabulatore, Alessia immagina di far incontrare Selima adulta con Chicchi, la bimba di allora, ritratta in una foto al mare assieme ai fratellini, alla mamma e al papà sulla spiaggia. Proprio questa foto, come lo specchio del secondo romanzo di Lewis Carrol, Alice attraverso lo specchio, è la porta per far incontrare quei due mondi.
«In questo secondo romanzo Alice si annoia – spiega – e si chiede come sarebbe se andasse dall’altre parte dello specchio. Così mi sono divertita a far incontrare Selima grande e Chicchi. L’elemento di passaggio, in questo caso, è una fotografia che notai durante il primo incontro con lei: la cornice cadde da sola attirando la mia attenzione. E in quella occasione mi venne l’idea di fare incontrare la stessa persona». Il prima e il dopo, Selima bambina che non sa cosa succederà e quella adulta che sa già tutto. «Quando Giorgio fu ucciso – racconta – Selima aveva 6 anni e di quanto è successo ricorda poco o nulla, mentre rammenta benissimo di questo papà che ogni tanto si presentava con un bambino che si era smarrito. Preferiva portarlo a casa dove c’erano altri bambini che erano i suoi figli».
Un padre che ama inventare e riesce a trasformare persino la pulizia di un polveroso stanzino in un gioco: la caccia ai ricordi. Non importa che si tratti di una vecchia automobilina o di un secchio rotto: per ognuno è possibile costruire una storia o riscriverla, come con la fiaba di Cappuccetto rosso che non si perde tra i boschi ma tra i vicoli del mercato del Capo, alle spalle del palazzo di Giustizia. «Da subito – prosegue – rimasi colpita dalla dimensione del racconto di Giorgio che desiderava raccontare le favole e cambiarne il finale. Questo mi ha fatto pensare tanto a Rodari, alla Grammatica della fantasia. Perché quando tu racconti e chiedi la partecipazione degli altri, nei fatti costruisci una nuova realtà. Lui ha tentato veramente di farlo: ha cercato di costruire una storia diversa per Palermo».
Ma raccontare di Giorgio senza fare accenno a Boris è impossibile e Alessia nel libro fonde le due anime regalandoci una storia che riguarda Palermo e lo sforzo enorme di un uomo per far sì che tutto quello che stava succedendo, la connivenza tra stato, politica e mafia, venisse a galla. «In Giuliano – riflette – la dimensione affabulatoria erano strettamente intrecciata a quello del suo lavoro. Il cinismo avrebbe potuto prendere il sopravvento in questa persona sola ma lui percorse la via della meraviglia, dell’apertura verso gli altri. In una intervista recente, il figlio Alessandro diceva ‘chi di noi avrebbe il coraggio il pensiero di vedere un bambino per strada e portarlo a casa?’ Lui si apriva in un momento in cui tutta la città si chiudeva».
Una doppiezza che caratterizza anche lo stile del racconto: inizialmente adatto ai bambini di 7-8 anni, poi i toni si fanno più aspri, consapevoli, fino alla sua morte. Qualcuno, pensando di destinarlo all’oblio, ha scelto per Boris un finale tragico ma quasi come una beffa, la storia vera di Giorgio non è stata mai più dimenticata diventando un esempio per i giovani. «Spesso l’antimafia è una medaglietta da appendersi al petto – aggiunge – in Giuliano, invece, ho visto una voglia di legalità senza alcun tipo di celebrazione. E oggi, a 37 anni dal suo omicidio, il suo ricordo è sempre vivo perché i ragazzi hanno adottato questa figura».