Donne vittime di tratta si riscattano con la sartoria «Sto cercando di essere migliore per mia figlia»

All’interno di una piccola sala del centro diaconale La Noce di Palermo, che accoglie il laboratorio di Taglio e cucito gestito dal Pellegrino della Terra, quattro donne, ex vittime di tratta, guidate dal sarto camerunense Ayim Francis Sabum, realizzano autentici capi d’abbigliamento. «All’inizio – confessa Evelyn – è stata difficile ma ci siamo fatte forza tutte insieme e adesso, sappiamo fare un lavoro che ci piace». Per Amina, è tutto merito del loro insegnante. «Un padre – dice – con cui abbiamo iniziato a credere in noi stesse». Kubra racconta l’entusiasmo di poter apprendere un diverso modo di cucire. «Ho imparato – rivela – a fare le pinces che sono delle piccole cuciture interne, utilizzate nella moda europea, per modellare e stringere un abito». Isoke, madre di una bambina di un anno e mezzo, aggiunge: «È una grande opportunità, sto cercando di essere migliore per mia figlia Hope. Tutto è possibile se si ha coraggio».

Nato 50 anni fa in Camerun, Francis ha sempre avuto, fin da ragazzino, la passione per ago e filo tanto da farne un mestiere. «Nel mio paese, ho frequentato la scuola di taglio e cucito e facevo l’insegnante», confida. Nel 2008, dopo un periodo di formazione sartoriale a Londra, chiede asilo politico in Italia. A Palermo, acquista una macchina da cucire al mercato di Ballarò e comincia a dare lezioni presso l’opera missionaria di Biagio Conte. In seguito, forma un gruppo di quattro donne presso il Pellegrino della Terra. «Insegno loro – ammette – nuovi metodi ma anche cosa significa stare in un contesto lavorativo in cui bisogna fare affidamento le une sulle altre».

«La nostra associazione – spiega il presidente Vivian Wiwoloku – nasce nel ’96 per ospitare le vittime della tratta. Ingannate, da false promesse di lavoro in Europa come baby sitter o parrucchiere, si sono ritrovate coinvolte in una squallida realtà». Dalla narrazione del pastore valdese emergono le recenti modalità di reclutamento delle ragazze. «Negli ultimi anni – precisa – non arrivano più in aereo ma su gommoni». Una rete criminale collega i paesi d’origine a quelli di approdo. «Le loro vite – sostiene – appartengono ai trafficanti. Durante la traversata nel deserto, – continua – molte di loro vengono violentate o costrette a prostituirsi in Libia nelle connection house o case d’incontro per pagarsi il viaggio».

Giunte in Italia, spariscono dai centri di prima accoglienza e sono obbligate a vendersi per strada. «Chi si rifiuta viene minacciata con la pratica wodoo. Tante non ammettono di subire intimidazioni o di essere minorenni per paura», constata. I loro aguzzini finiscono per convincerle che la prostituzione sia l’unica soluzione alla mancanza di lavoro. «Quando una donna entra nel nostro centro d’ascolto – interviene Graziella Scalzo, coordinatrice operativa delle attività del Pellegrino della Terra – la prima cosa che chiede è la ricerca di un impiego. Noi le rispondiamo che possediamo gli strumenti per formarla e metterla in condizione di cercarlo».

L’attività di recupero e riabilitazione sociale costituisce l’obiettivo dell’equipe di operatori a sostegno dei soggetti vulnerabili. «Offriamo – prosegue Scalzo – supporto spirituale, uno sportello di ascolto, all’interno del quale lavorano delle operatrici, ex vittime di tratta, che sanno approcciarsi con chi ci chiede aiuto, un’attività di segretariato sociale, in cui indirizziamo le ragazze verso alcuni percorsi formativi in economia domestica, cura del verde, gestione degli ambienti, lingua italiana e taglio e cucito e, infine uno spazio ludico-ricreativo rivolto ai figli delle tirocinanti».

Prendere in carico una donna significa renderla autonoma nella gestione della propria vita.«Diamo alloggio – dichiara la coordinatrice – a cinque giovani che si sono ritrovate senza lavoro e casa, per un periodo di sei mesi ad un anno. Durante questo arco di tempo, saranno aiutate ad acquisire un’indipendenza economica». Questi progetti, hanno lo scopo di dimostrare che uniti si può uscire dalla tratta. «Collaboriamo – conclude Wiwoloku – con un’associazione che ha sede in Nigeria con lo scopo di fare sensibilizzazione nelle città e nei paesi da cui provengono le ragazze per informarle a cosa vanno incontro».


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