Dopo il maestro, il professore unico?

Che fine faranno le Siss? Cosa si nasconde dietro il tetto di spesa per i libri di testo? Quali saranno i prossimi provvedimenti del governo in materia di scuola? L’abbiamo chiesto al professor Andrea Manganaro, docente di Letteratura Italiana alla Facoltà di Lettere e membro del direttivo nazionale dell’ADI, l’associazione dei docenti di italianistica. Il punto di osservazione del professor Manganaro è particolarmente interessante: tra gli obiettivi dell’ADI, infatti, c’è quello di fare da raccordo tra mondo della scuola e quello dell’università. E già a settembre l’associazione ha stilato un documento in cui denunciava i tagli e i provvedimenti del governo in merito alla scuola.
 
«L’associazione degli italianisti – ci spiega Manganaro – raggruppa tutti i docenti universitari di italianistica. Dal 2001 ha promosso una propria sezione didattica che ha la finalità di rappresentare tutti gli insegnanti di italiano, anche quelli della scuola: non da un punto di vista sindacale ma dal punto di vista dell’associazionismo professionale. Questa sezione didattica insomma è promossa dagli universitari ma si muove sulle gambe dei docenti della scuola. Io stesso ho insegnato per molti anni nella scuola e la reputo un’esperienza unica. Quel documento in qualche modo anticipava la protesta di ottobre».

Le linee guida del governo in merito alla scuola sono riassunte in un documento: lo schema di piano programmatico del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze della legge 133. E quel che c’è scritto preoccupa l’ADI. «Possiamo dire che la ratio dell’essenzializzazione, basata su principi economici, fa passare in subordine l’obiettivo formativo. L’essenzializzazione non riguarderà solo il numero di ore. Sono previsti corsi di formazione di lingua inglese di 150/200 ore per gli insegnanti di ruolo della scuola primaria, con lo scopo di abilitarli anche all’insegnamento della lingua straniera. Inoltre, mentre attualmente ci si specializza in determinate classi di concorso, in futuro queste classi verranno accorpate in base alla comune matrice culturale e professionale (ad esempio tutte le materie letterarie, filosofiche) ai fini di una maggiore flessibilità nell’impiego dei docenti».
 
In altre parole, rischiamo di andare incontro al «professore unico» anche negli istituti d’istruzione secondaria?
«La tendenza sembra essere questa. E c’è di più. Sono previsti anche corsi di riconversione professionale per i docenti delle classi di concorso in esubero. E non è un mistero che la letteratura, la filosofia saranno gli insegnamenti più penalizzati, perchè da qualcuno considerati saperi inutili. Questo influirà anche sull’università: per le supplenze nelle scuole infatti non verrebbero più usati i precari, ma gli stessi docenti di ruolo della scuola. Tutto sulla pelle delle nuove generazioni».

Un punto del decreto su cui voi avete espresso molte perplessità è l’imposizione del tetto di spesa per i libri di testo. A molti sembra uno dei pochi elementi positivi. Cos’è che invece vi preoccupa?
«Il problema non è il tetto di spesa. Che ci sia stata una speculazione sul prezzo dei libri è chiaro. In questo il governo sembra aver intercettato un’opinione comune, ma gli insegnanti non sono certo interessati a far spendere soldi agli studenti. Noi abbiamo concentrato l’attenzione sul blocco delle adozioni dei libri di testo. Questo significa che per 5 o 6 anni non si potranno adottare libri di testo. Dal punto di vita economico generale significa che gli editori che si occupano solo di editoria scolastica sicuramente perderanno una quantità notevole di posti di lavoro. E bisognerebbe anche osservare a chi appartengono queste case editrici. Tra queste, ad esempio, non c’è sicuramente la Mondadori, che ha processi di conversione di tipo diverso».

Ma sembra debole come argomento. Soprattutto per gli studenti.
«Infatti, questo è soprattutto un problema di libertà per gli insegnanti. Se io vengo assegnato ad una sezione dove trovo adottato un libro di testo incompatibile con il mio modo di vedere e di insegnare, lo devo mantenere. Ciò significa un’ulteriore riduzione della libertà di insegnamento. Altra cosa che si prevede è la possibilità di scaricare i libri di testo da internet. Ma è proprio vero che in questo modo vengono garantite pari opportunità a tutti? La possibilità di usare internet è presente in modo eguale in tutti i ceti e in tutte le zone geografiche?»

Parliamo del futuro di chi aspira a insegnare. L’ADI ha espresso una ferma condanna nei confronti della soppressione delle SSIS (Scuole di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario). Perché?
«Io ho collaborato alle Siss sia come supervisore del tirocinio, sia insegnando. In realtà noi difendiamo non tanto la Siss ma l’intento originario nato negli anni 1990/91 di adeguare la formazione degli insegnanti al sistema europeo. Un sistema non concorsuale, ma misto tra scuola e università. Sappiamo che tanti sono stati i problemi all’interno di queste scuole. Inoltre il sistema delle lauree 3+2 ha dilatato i tempi necessari per ottenere l’abilitazione all’insegnamento, perché è diventato un percorso di sette anni (3+2+2). Troppi, questo è indubbio. Ma adesso la cosa estremamente negativa è la soppressione di queste scuole da un giorno all’altro, senza nessuna proposta alternativa. Così non si elimina il precariato, ma si liquidano le speranze e le prospettive di migliaia di giovani di accedere all’abilitazione. I nostri laureati non hanno una prospettiva di futuro. È questo il dato più drammatico».
 
Quale può essere dunque la soluzione?
«Si dovrebbero rendere determinati corsi di laurea della specialistica abilitanti per l’insegnamento. Ci sembra l’unica strada percorribile».


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